Così come alle origini della grande e ineludibile stagione creativa di Modigliani vi è, in ogni caso, la
lezione del maestro di Aix. Senza di questa, l’esempio senese sarebbe rimasto un esile filo di vaga spiritualizzazione; la cultura egiziana, e in
genere primitiva, non avrebbe dato altri frutti oltre a quelli di una remota persistenza della forma; i passaggi giovanili tra i sapori dell’Oriente
e le inquietanti poesie della linea secessionista non sarebbero approdati ai livelli alti della solidarietà, anche amara, verso i destini obliqui
dell’uomo; l’attenzione rivolta all’umanità dolorante di Lautrec non avrebbe attinto le note di una perenne emozione.
Forse, infine, il giovane livornese non avrebbe dominato con l’autonomia del grande protagonista, e in un certo modo piegato alle proprie
originalissime ragioni, il fuoco multiplo ed incrociato di Montparnasse e la contemporanea “provocazione” di Soutine e di Van Dongen, di Lipchitz e
Zadkine, di Laurens e di Chagall, per fare solo qualche nome. Non avrebbe vissuto con così serena sicurezza lo “spalla a spalla” con Picasso e, in
genere, l’aggressività cubista.
Cézanne rappresentò per Modigliani una vera e propria ondata, che lo rese capace di amalgamare e di condurre in altre rive la ricchezza di un
bagaglio culturale guadagnato giorno per giorno e il rinnovarsi continuo delle sollecitazioni cui un “montparnos” come lui era sottoposto.
Come prima accennavo, sono convinto che il Busto di giovane nuda del 1908, esposto al Salon des Indépendants dello stesso anno, riveli già
qualche ascendenza cézanniana. Tuttavia, la traccia è ancora debole e si esaurisce in una improvvisa solidità volumetrica che trapassa dalla figura
allo sfondo. Troppo poco e, soprattutto, troppo scolastica la traduzione. Dal tutto traspare un’attenzione al vecchio maestro che tende alla
profondità del linguaggio senza attingerla. Tuttavia, il segnale è importante e l’opera lievita, tra le altre dello stesso periodo, per una
enigmatica e corposa presenza della figura femminile.
Peraltro, l’attenzione e l’approfondimento del linguaggio di Cézanne non si esprimono subito in modo costante. Sembra quasi che, dal 1908 al 1914,
egli di tanto in tanto si senta maturo per tentare di venire a capo dei problemi della propria espressività: quei problemi e quel grande potenziale
creativo che la pittura di Cézanne gli avevano sottolineato. Ritratti come quello dedicato al padre di Paul Alexandre (del 1909) o a Paul Alexandre
stesso (sono tre, sempre del 1909), pur nella loro squisita qualità, segnano una pausa, un affinamento sì, ma di una lingua già sperimentata e
acquisita a Venezia. Così dicasi per il Ritratto di Marcel Drouard o per La mendicante, personaggio noto nell’ambiente “bohemien”
di Montparnasse.
Invece, il ritratto probabilmente riferibile all’incisore Maurice Potin (ancora del 1909) rivela somiglianze eclatanti e incontestabili con gli
autoritratti del 1880- 1885 di Paul Cézanne: tanto da far sospettare che si tratti di una dedica e che Potin ne fosse solo l’occasione esecutiva.
Ciò vale anche per lo Studio di suonatore di violoncello (1909), le cui radici ognuno potrà ritrovare facilmente nel
Ragazzo dal panciotto rosso (1890-1895) del maestro di Aix. Ma già la seconda e definitiva versione, esposta al Salon des Indépendants del
1910, sfugge all’indietro, verso connotazioni più raffinate, ma meno problematiche e incisive.

