L’esposizione
da nadar

Dopo aver viaggiato per tanti anni, Monet nel 1874 si stabilisce nella amata Argenteuil. Manet gli fa visita e dipinge il suo ritratto.

Renoir si è già affrettato a raggiungerlo; i due tornano a dipingere insieme. Il giardino dell’artista ad Argenteuil appare, al tempo stesso, nel dipinto di Manet e in quello che Renoir esegue contemporaneamente all’autore della Musica alle Tuileries: Monet che dipinge nel suo giardino ad Argenteuil. E i due realizzano insieme molte opere così simili che in seguito loro stessi troveranno difficoltà nel distinguerle. Entrambi si orientano verso un genere di rappresentazione della natura che sia innanzitutto una fonte inesauribile di sensazioni pure.
Il loro stile si evolve: le pennellate acquistano la forma di virgole serrate, costituendo così un intreccio di vibrazioni cromatiche.
I contorni sono sfumati e differenziati a vantaggio di un’enfasi marcata della luce e degli effetti cromatici che ne derivano.
Nel 1873, non riuscendo a sbarcare il lunario e non trovando una soluzione, Monet lancia l’idea di un’esposizione collettiva.
Non fa che ridar vita a un progetto di Bazille che, nel 1867, aveva immaginato una grande esposizione indipendente da tenersi in un atelier ogni due anni. Paul Alexis scrive un articolo su questo argomento e auspica anche la nascita di una corporazione artistica. Monet gli risponde a questo proposito: «Un gruppo di pittori riunitisi da me ha letto con piacere l’articolo pubblicato da Lei sull’“Avenir national”. Siamo felici nel vedere che Lei difende quelle idee che sono anche le nostre, e noi speriamo, appunto come Lei ha detto, che l’“Avenir national” ci dia il suo appoggio non appena la società che noi stiamo per costituire sarà effettivamente fondata».
Fervono i preparativi per questa manifestazione: Degas, Pissarro e Renoir non si trovano d’accordo. Finalmente la scelta cade su una sede – i locali del fotografo Nadar – e vi vengono raccolte 165 opere. Certo, Édouard Manet e James Tissot hanno rifiutato di aderire alla nuova Società anonima di artisti pittori, scultori, incisori; ciononostante tutto è pronto per il 25 aprile 1874. Immense sono le aspettative degli ideatori.
Le reazioni non si fanno attendere: la critica si scatena, piena di fiele e di sarcasmo.
Da parte sua, il pubblico è poco numeroso e viene più per puro divertimento che non per un vero interesse nei confronti delle tele impressioniste. E infatti il termine viene lanciato e fa fortuna.
Louis Leroy intitola la sua recensione sul “Charivari” del 25 aprile, Exposition des Impressionnistes. Per rendere più piacevole la lettura delle sue dichiarazioni, inventa un dialogo tra due visitatori: «“Ah, eccolo, eccolo!” esclamò dinanzi al n. 98. “Che cosa rappresenta questa tela? Guardate il catalogo”. “Impressione, sole nascente”.
“Impressione”, ne ero sicuro. Ci dev’essere dell’impressione là dentro. E che libertà, che disinvoltura nell’esecuzione! La carta da parati allo stato embrionale è ancor più curata di questo dipinto”».
L’origine del termine “impressionismo” è controversa. Alcuni affermano che il fratello di Auguste Renoir, incaricato di stampare il catalogo, chiese a Monet di cambiare i suoi titoli, troppo monotoni; e questi gli avrebbe risposto: «Mettete Impressione». Anche Manet ne rivendica la paternità. Ma ci sono forti probabilità che il termine sia stato pronunciato nel corso di animate serate al Café Guerbois.
Qualunque sia la verità, è pur sempre Monet che, con Impressione, sole nascente, opera datata 1872, si è spinto più in là nella dissoluzione dello spazio figurativo a vantaggio di un sentimento diffuso da giochi di tono: navi, barche, il porto sono pressoché dissolti mentre un sole arancione si riflette nell’acqua dove domina un blu grigio identico a quello di imbarcazioni, gru, moli, uomini e buona parte del cielo.


Boulevard des Capucines (1873), particolare; Kansas City, Nelson-Atkins Museum.

Édouard Manet, La famiglia Monet nel suo giardino ad Argenteuil (1874); New York, Metropolitan Museum of Art.

La casa dell’artista ad Argenteuil (1873); Chicago, Art Institute of Chicago.