L’impressionismo
in pietra

A Rouen lancia una nuova sfida a se stesso. Sceglie come paradigma la cattedrale gotica che sottopone a un trattamento simile a quello impiegato per i Covoni e i Pioppi.

Tra il 1892 e il 1894 Monet dipinge cinquanta Cattedrali; confessa quanto siano ardui gli ostacoli che incontra: «Ahimè! non posso che ripetere questo: più vado avanti, meno riesco a rendere ciò che sento [...] e lavoro continuamente senza progredire, cercando, tentennando, senza ottenere un granché».
Il portale e parte della torre vengono percepiti solo in funzione delle variazioni temporali e climatiche; ma sono anche reinterpretati soggettivamente. La cattedrale è ormai solo un pretesto per un’intensa meditazione che fonde affetti, sensazioni, pensieri fuggenti e pensieri duraturi, sentimenti segreti e, infine, una metafisica che appartiene solo al pittore.
Nel 1895, in occasione della mostra comprendente venti delle trenta Cattedrali organizzata da Durand-Ruel, George Clemenceau scrisse in un articolo in "La Justice”: «Guardando le cattedrali di Monet da vicino, sembrano fatte da chissà quale indefinibile muratura multicolore, frantumata sulla tela in un accesso di rabbia. Quest’impulso selvaggio è senza dubbio frutto della passione, ma anche della scienza. Come possa l’artista esser conscio, a qualche centimetro dalla sua tela, di un effetto sia preciso che sottile, impossibile da apprezzare e vedere se non ad una distanza di diversi metri, questo è il mistero sconcertante del suo occhio».
Queste opere hanno avuto la forza di colpire le immaginazioni. Marcel Proust ammira enormemente Monet ed è affascinato dalle Cattedrali. Nella Recherche Madame de Cambremer dichiara la sua passione per Manet e aggiunge: «Ma credo di preferirgli Monet. Ah! Le cattedrali!».
Quelle cattedrali lo ossessionano e affascinano Proust. Nel romanzo la seconda visita all’atelier di Elstir è per lui l’occasione per descrivere un quadro fittizio, che non può che ricordare le prove di Monet a Rouen: «Vi parlavo l’altro giorno della chiesa di Balbec come di una grande scogliera, un grande argine di pietre del paese, ma viceversa, mi dice mostrandomi un acquerello, guardate queste scogliere (è uno schizzo fatto qui vicino, ai Creuniers), guardate come queste rocce scolpite con forza e delicatezza fanno pensare ad una cattedrale».
Il pittore Jacques-Émile Blanche ha racchiuso in una formula l’ambizione che presiede a questa ricerca estrema di Claude Monet: «Egli fa di questa architettura un dramma atmosferico». Essa completa la riflessione di Proust che nota nella sua prefazione a La Bible d’Amiens di John Ruskin: «Queste ore [...] si scopre la vita di quella cosa fatta dagli uomini, ma che la natura si è ripresa immergendola in sé, una cattedrale, la cui vita, come quella della terra, nel suo doppio rivolgimento si sviluppa nei secoli e d’altra parte si rinnova e finisce ogni giorno».
Nel febbraio del 1895, Monet va in Norvegia.
Scrive un messaggio a Geffroy per comunicargli quanto segue: «Oggi ho dipinto buona parte della giornata, sotto la neve che cade senza posa; avreste riso nel vedermi completamente bianco, con la barba piena di ghiaccioli a stalattite». Da queste terre settentrionali riporta paesaggi nostalgici.


Le trenta Cattedrali eseguite da Monet rappresentano per la maggior parte la facciata, raffigurata in una sequenza continua che va dall’alba al crepuscolo. Per dipingerle, Monet affittò prima un appartamento in piazza, poi, dall’aprile 1892, sopra al negozio Au Caprice in rue du Grand Pont, ma completò il lavoro in studio, senza più averle davanti agli occhi. Ammirate da Clemenceau, Renoir, Cézanne e Degas, le Cattedrali costituiscono un punto di svolta della pittura europea e preparano le successive esperienze di Braque e Picasso.

La cattedrale di Rouen: sole mattutino. Armonia blu (1893); Parigi, Musée d’Orsay.

La cattedrale di Rouen: sole al tramonto (1894), Mosca, Museo statale Puškin di Belle Arti.