La Foce della Senna a Honfleur e la Punta della Héve con la bassa marea sono accolte abbastanza bene dalla critica; qualcuno,
maligno, dice che è per far arrabbiare Édouard Manet a causa dell’omofonia dei cognomi. Questo insperato successo gli dà coraggio e, l’anno
seguente, invia due nuovi quadri: La foresta di Fontainebleau e Camille in abito verde, un ritratto della sua compagna, Camille
Doncieux. Ancora una volta la critica gli rivolge qualche elogio; significativo, soprattutto, è quello di Émile Zola: «Confesso che il dipinto che
ha catturato più a lungo la mia attenzione è Camille in abito verde di Monet. Ecco una tela viva e piena di energia […] Davvero, qui c’è
qualcuno che ha del temperamento, c’è un uomo tra tutti questi eunuchi. Guardate i quadri accanto e vedete quanto restino mortificati da
questa finestra spalancata direttamente sulla natura! Qui abbiamo qualcuno che è più che realista, qualcuno che sa interpretare ogni dettaglio con
delicatezza e con forza ma senza cadere nel tedio». In realtà, Claude Monet aveva in mente il progetto di esporre al palazzo dell’Industria un altro
quadro, assai più ambizioso della sua Camille. «Questa» racconterà nel 1920 al duca Édouard de Trévise, «è una
Colazione sull’erba che avevo fatto dopo quella di Manet; procedevo, come tutti allora, con piccoli studi sulla natura per poi comporre
l’insieme nel mio studio». In quel momento si trova a Chailly, vicino a Ville d’Avray. Chiama Bazille e gli chiede di raggiungerlo urgentemente per
posare, insieme a Camille, per quell’impresa audace che è la sua rivisitazione del celebre quadro di Manet. Monet sistema la tela, enorme (alta
circa 4 metri e lunga 6), in giardino. Ma le cose non vanno come spera. Courbet critica il dipinto, e poi c’è il dramma della mancanza di soldi.
Deve lasciare una gran parte delle sue tele in pegno ai proprietari della pensione di Chailly, e le riprenderà solo qualche anno più tardi, ma
troverà la Colazione sull’erba in pessime condizioni. Quest’opera mette in evidenza la situazione di Monet. È chiaramente sotto l’influsso
di Manet, che incontra tramite lo scrittore Zacharie Astruc. Tenta di oltrepassare i suoi principi pittorici e di realizzare “en plein air” ciò che,
per l’autore dell’Olympia, è solo speculazione intellettuale. D’altra parte, risente della nozione di realismo di Courbet, oltre che di
alcuni dei suoi procedimenti.
A differenza di Manet, rimane ancora attaccato al soggetto, che non ha il carattere emblematico dello scandaloso
quadro del Salon del 1863. In una certa misura, Monet risponde alla definizione che il critico Castagnary dà del “naturalismo”: quella scuola,
secondo lui, «afferma che l’arte è espressione di vita in tutte le sue forme e a tutti i livelli, e che il suo unico scopo è quello di riprodurre la
natura portandola al massimo grado di potenza e d’intensità».

