Del resto, della componente platonica e agostiniana del pensiero di Piero nessuno può dubitare. Lo dimostra, tra
l’altro, all’inizio del De prospectiva pingendi, la definizione della pittura come un’arte che «contiene in sé tre parti principali [...]
disegno commensuratio et colorare», un concetto che finisce per assomigliare a quanto sant’Agostino propone sulla bellezza corporea, la quale
consiste nella «proporzione delle parti con una certa dolcezza nei colori»(20). Un’idea che conduce a un’ulteriore riflessione. In un
universo pittorico così lungamente pensato e scientificamente costruito, dove l’impianto geometrico e quello prospettico sono elementi simbolici per
rappresentare la dimensione dell’Assoluto di cui è specchio la realtà sensibile, anche i personaggi che lo occupano e che lo popolano devono essere
coerenti con esso.
Questi, infatti, incarnano dei valori assoluti: sono figure mentali che occupano uno spazio intellettuale, per cui sono il contrario
dell’accidentale e dell’occasionale. Più chiaramente: nelle opere di Piero si avverte distintamente una sorta di repulsione per l’aneddotica
spicciola, per il racconto fine a se stesso, per la narrazione proposta banalmente. Così, per esempio, nel Battesimo compare soltanto un
catecumeno, in precisa antitesi con il testo evangelico secondo il quale turbe di pellegrini accorrevano dal Battista «e da lui si facevano
battezzare nel fiume Giordano, mentre confessavano i loro peccati» (Mt 3, 6). Ma quel catecumeno, proprio in quanto unico, è assai più efficace, per
esempio, dei tre che compaiono nell’affresco di identico soggetto dipinto da Masolino nel battistero di Castiglione Olona. Quelli di Masolino,
infatti, si spogliano e si asciugano come fossero dei bagnanti, quello di Piero – curvo come l’ansa del Giordano – rappresenta l’umanità intera che
si libera, grazie al sacramento del battesimo, del peso del peccato.
Per gli stessi motivi, non di rado il maestro di Borgo reimpiega, talora ribaltandoli (sinistra/destra), i medesimi disegni o cartoni da spolvero
all’interno della stessa composizione. È quanto accade per gli angeli della Madonna del parto (la cui specularità è sottolineata pure
dall’inversione dei colori) e se ne ha un chiaro esempio, come già rilevato da Battisti sulla scorta di Kenneth Clark, nell’Adorazione del sacro legno e incontro di Salomone con la regina di Saba
affrescato nella cappella Bacci della chiesa di San Francesco ad Arezzo, restaurata completamente nel 1998 sotto la direzione di Anna Maria Maetzke.
In quest’ultimo caso, il confronto tra le due parti in cui è divisa la scena rende manifesta la ripetizione «di almeno tre spolveri»: quello servito
per la figura della regina inginocchiata fuori della reggia di Salomone, davanti al ponte, ripreso per il busto della regina ritratta al momento
dell’incontro con il sovrano, dentro il palazzo; lo spolvero delle due damigelle di profilo; quello dell’ancella che s’incunea fra la regina e il
suo seguito(21).
Che si possa trattare di un espediente per non perder tempo in un’opera il cui periodo impiegato per la realizzazione - come si vedrà - è stimato
dai critici in quattordici anni (1452-1466), non sembra possibile crederlo. Piuttosto, dovette essere ancora una volta il modo per sospendere la
scena in un’immobilità atemporale che sbalza l’episodio nella dimensione trascendente del mondo platonico delle idee.
Addirittura, talvolta Piero utilizza gli stessi tipi fisici per rappresentare personaggi diversi e sottolinearne certe consonanze ideali. Non è
certo un caso, infatti, che nella pala eseguita per Federico da Montefeltro, duca di Urbino (oggi conservata nella pinacoteca di Brera, a Milano)
compaia un san Gerolamo (terza figura da sinistra) senza barba, contrariamente all’abitudine di Piero, e in più con il medesimo volto del
san Bernardino da Siena che gli è dietro.
Il fatto potrebbe sembrare una bizzarria, ma non è così se si riflette sulla vicenda biografica dei due santi.
In primo luogo, san Bernardino era un contemporaneo e attribuire le stesse sembianze del predicatore senese a un campione della cristianità come
san Gerolamo significava attualizzare la figura di quest’ultimo.
Inoltre, entrambi gli uomini sono riconosciuti dottori della Chiesa, entrambi hanno fama di letterati, entrambi si trovano alle prese con l’eresia,
entrambi sono osteggiati in vita ed entrambi fanno l’esperienza del romitaggio. Così, è come se Piero avesse voluto dire che la santità ha sempre il
medesimo volto. Una santità fatta di rinunce e di solitudine: per questo accanto ai due personaggi compare il Battista (la prima figura da
sinistra). Piero, d’altra parte, non era nuovo a sottolineare il legame tra san Gerolamo e san Giovanni Battista.
Nella ricordata pala londinese del Battesimo, i declivi erbosi che dolcemente si allontanano verso le colline dello sfondo sono costellati da
tronchi di alberi abbattuti. Non sarà difficile rintracciarvi, come giustamente fa Battisti, la citazione del passo evangelico riferito a farisei e
sadducei che recita: «Ogni albero che non fa buon frutto si taglia e si getta al fuoco» (Mt 3, 10). Quello che però non viene notato è che la
presenza dei tronchi tagliati e della scure (ricordata da Matteo), costituisce una costante, o quasi, nella iconografia bizantina del Battista.
Nella cultura figurativa occidentale, queste sono caratteristiche assai più rare, eppure le ritroviamo inaspettatamente nelle tre opere di Filippo
Lippi che rappresentano l’Adorazione del Bambino (per esempio, in quella a Berlino, Gemäldegalerie).
Il paesaggio dai tronchi recisi, perciò, si qualifica inequivocabilmente come un preciso riferimento al Battista. Così, quando Piero dipinge alberi
tagliati nel San Gerolamo penitente di Berlino (Gemäldegalerie) o pone in primo piano nel San Gerolamo e un devoto di Venezia
(Gallerie dell’Accademia) il tronco sul quale è vistosamente piantato un crocifisso, appare evidente che vuole alludere alla sovrapposizione delle
due figure di santi, così come proponeva la cultura agiografica medievale e quattrocentesca.
Si capisce perciò per quale motivo, nella Pala di Brera, il Battista compaia accanto a san Bernardino e a san Gerolamo che si
presentano con lo stesso viso. È come se si trattasse di un modello di santità che si tramanda nel tempo fino ai giorni di Piero, il quale, del
resto, non aveva esitato nel Polittico della Misericordia (Sansepolcro, Museo civico) a porre in relazione san Giovanni Battista e san
Bernardino (rispettivamente, da sinistra, la seconda figura e l’ultima del registro centrale), legati dal medesimo gesto: il Battista addita con la
destra alludendo al Cristo (questo l’atteggiamento tipico del Precursore nell’iconografia occidentale); il santo senese indica verso l’alto
atteggiando la mano allo stesso modo.




