Ci si trova infatti dinanzi a un artista che presenta varianti stilistiche non significative ai fini della datazione delle singole opere e a ciò si aggiunge una scarsissima documentazione storica. Lo stesso racconto vasariano non offre adeguate garanzie di affidabilità da questo punto di vista. Annota infatti lo scrittore aretino che Piero «visse insino all’anno 86 della sua vita». Dal momento che conosciamo la data della sua morte, dovremmo quindi fissare l’anno di nascita intorno al 1406. Le recenti ricerche di James R. Banker e la pubblicazione di un documento che lo indica come collaboratore di Giovanni di Antonio di Anghiari nel 1432, ci permettono d’ipotizzare una data almeno al 1412. Alla luce di quest’ultima considerazione, appare improbabile che Piero fosse già un artista affermato se gli s’imponeva il rispetto di un modello predeterminato: «ad foggiani eius que nunc est», ossia “secondo la forma di quella che c’è ora”, e se, dice il contratto dell’11 giugno 1445, era prevista la garanzia del padre(34). Comunque, a quest’epoca Piero si era già da tempo avviato sulla via dell’arte. La sua personalità è stata indagata recentemente da Banker che è tornato sul tema nel 2003 e poi, nel 2014. Da questi studi emerge un uomo la cui formazione culturale iniziò con il padre mercante, e per il quale la pittura fu una delle sue molteplici attività, che lo videro autore di trattati prospettici, di geometria, nonché di manuali per il calcolo commerciale. Attento ai beni materiali (non ebbe un buon rapporto con il fisco, ingiusto allora, come ora) e benestante, ricoprì incarichi pubblici e frequentò alcune delle principali corti italiane. Agli esordi del maestro, parte della critica ha ricondotto, come prima opera nota, la Madonna col Bambino della collezione Contini Bonaccossi, databile al 1440 circa e recentemente esibita nell’ultima grande mostra dedicata al maestro nel 2014 a New York. Certo è che nel settembre del 1439 lo troviamo a Firenze come aiuto di Domenico Veneziano che allora stava affrescando la cappella dell’altar maggiore della chiesa di Sant’Egidio, opera interrotta nel 1445 e di cui rimangono solo pochi frammenti(35). L’arte di Domenico era allora già matura, come dimostra l’Adorazione dei magi che precede la realizzazione del ciclo di affreschi e nella quale non è difficile rintracciare cifre stilistiche che presto entreranno a far parte del linguaggio di Piero. Il 1439, però, era un anno importante per Firenze e per la cristianità, giacché nella città gigliata si era spostato quel concilio ecumenico di Ferrara da cui sarebbe scaturita (sia pure per poco) la rinnovata unità fra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli. Firenze era in quel momento il centro del mondo cristiano e il giovane Piero dovette rimanere abbagliato dalla ricchezza delle vesti e dall’esotismo delle delegazioni costantinopolitane, oltre che esaltato all’idea che proprio in quei giorni dimorasse in città l’imperatore di Bisanzio in persona, Giovanni VIII Paleologo. Tutto questo, infatti, entrò a far parte del suo mondo pittorico.
Tra i temi allora discussi dall’assemblea conciliare, i problemi trinitari e le questioni relative alla formula del sacramento del battesimo rivestivano la massima importanza. È questo il motivo che ha spinto più di uno studioso a considerare il Battesimo di Cristo di Londra come un’opera appartenente al periodo fiorentino(36). Se così fosse, sarebbe questa e non il Polittico della Misericordia la prima grande realizzazione di Piero. Tuttavia, l’impianto stilistico e geometrico che abbiamo già esaminato depone per una data assai più tarda. Non solo, ma a questo vanno aggiunti riferimenti archeologici che rinviano a conoscenze ed esperienze possibili, per Piero, unicamente a Roma(37). Infine, i rimandi al concilio e alla problematica trinitaria sono così puntuali che non sarebbe stato possibile per il pittore concepirli a Firenze, dal momento che, riguardo a quei sottili cavilli teologici il diciottenne Piero della Francesca, come molti suoi contemporanei, era nella condizione di orecchiante. Il soggiorno romano, perciò, fra il 1459 e il 1460, appare il più probabile per collocare cronologicamente l’opera. In questo caso, però, bisognerà domandarsi perché mai Piero avrebbe dovuto concepire una pala la cui tematica rimandava a fatti di vent’anni prima. Il motivo è lo stesso che presiede alla realizzazione del Corteo dei magi di Benozzo Gozzoli: l’impresa della crociata voluta da Pio II per riconquistare Bisanzio caduta nelle mani di Maometto II nel 1453. Benozzo prende spunto dall’armeggeria del 1459, una sorta di torneo allestito per rendere omaggio a Pio II di passaggio a Firenze, e, sia pure per scopi diversi, finisce per far riferimento al concilio del 1439 e alla presenza in città di Giovanni VIII Paleologo, raffigurandolo nell’affresco insieme all’imperatore Sigismondo (il mago vecchio) che, sebbene scomparso nel 1437, era l’ispiratore morale del concilio(38). Piero, a Roma, dovette aver ben presente lo stesso tema, visto che il papa lasciava la sua sede proprio per rimediare alla caduta di Costantinopoli. Così, le quattro figurette vestite all’orientale sullo sfondo del Battesimo già indicate come i farisei ricordati dal Vangelo di Matteo, alludono proprio ai porporati bizantini intervenuti al concilio. Marie Tanner ha pensato di identificarli con i re magi, visto che uno addita lo Spirito santo come se fosse la stella del racconto evangelico.
