la Flagellazione

L’enigma della pittura di Piero si riassume in un’unica opera per la quale sono stati versati i proverbiali fiumi d’inchiostro: la Flagellazione conservata nella Galleria nazionale delle Marche, a Urbino.

Della piccola tavola (cm 59x81,5) non si sa nulla. Data e provenienza sono ancora oggetto di discussione e l’unico dato di cui non è possibile dubitare è che si tratta di un’opera autografa: «Opus Petri de Burgo S[an]c[t]i Sepulcri» si legge infatti sull’alzata del basamento che accoglie il trono di Pilato. Le principali linee interpretative seguite dalla critica fino a questo momento sono due.
La prima, avvalorata da Roberto Longhi, si basa su un inventario del 1744 nel quale, descrivendo l’opera allora conservata nella sagrestia del duomo di Urbino, si identificano i tre personaggi sulla destra come i «duchi Oddo Ant[oni]o, Federico, e Guid’Ub[ald]o»(49). Tuttavia, l’identificazione di due dei personaggi con Federico da Montefeltro e suo figlio Guidobaldo, le cui fisionomie sono ben note da alcuni ritratti, appare arbitraria. Quanto all’identificazione del giovane biondo con Oddantonio da Montefeltro, fratellastro di Federico, il riscontro con un suo ritratto conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna sembra avvalorare la notizia settecentesca. Del resto, il riferimento a Oddantonio, perito in una congiura nel 1444, potrebbe sembrare a favore di una datazione “alta” dell’opera, accettata da Longhi e altri. Invece, l’analisi stilistica si rivela questa volta un valido strumento per datare l’opera come successiva non solo all’incontro con Leon Battista Alberti, conosciuto a Rimini nel 1451, ma forse, data l’affinità con gli affreschi di Arezzo, anche al ciclo pittorico del San Francesco. Lo confermerebbe tanto la struttura architettonica che nel dipinto ospita il supplizio, estremamente simile a quella che accoglie l’incontro fra Salomone e la regina di Saba nell’affresco del ciclo aretino, quanto l’uso del motivo decorativo a dadi prospettici che compare anche nell’Annunciazione di Arezzo, nonché il fregio floreale che compare in basso al di sopra dei “dadi” che è identico alla decorazione dello zoccolo del Tempio malatestiano.
L’altra ipotesi di lavoro fa capo alla lettura del Clark che, tenendo conto degli elementi stilistici, connette l’opera agli avvenimenti storici del momento, ritenendo che i tre personaggi stiano meditando sulle tribolazioni della Chiesa per la caduta di Costantinopoli. Lo studioso identifica così Pilato con l’imperatore d’Oriente, Giovanni VIII Paleologo, e il personaggio barbuto, vestito alla maniera bizantina, con il fratello dell’imperatore, Tommaso Paleologo. Le date di esecuzione diventano perciò il 1459, quando Pio II si reca a Mantova per bandire la crociata, o il 1461, quando Tommaso Paleologo giunge a Roma per offrire una reliquia dell’apostolo Andrea(50). La tesi del Clark è stata ripresa da Battisti che modifica l’interpretazione fondendola, in parte, con quella di Longhi; per Battisti, dunque, la figura centrale del gruppo sarebbe sempre Oddantonio, quella di sinistra un ambasciatore bizantino, l’ultima Filippo Maria Visconti o Francesco Sforza; Pilato sarebbe invece Maometto II, il sultano che aveva usurpato il trono del Paleologo. Scopo dell’opera, secondo Battisti, sarebbe quello di riabilitare la memoria di Oddantonio per il mancato intervento nella crociata antiturca del 1443(51). Il saggio di Carlo Ginzburg, che porta alle estreme conseguenze la tesi del Clark, non ha fatto che alimentare le dispute, introducendo nuovi elementi per l’identificazione dei personaggi. Ginzburg nota che la figura vestita di broccato presenta la medesima fisionomia dell’uomo con la veste rossa inginocchiato sotto il manto della Madonna nel Polittico della Misericordia, il quale a sua volta somiglia a due personaggi ritratti negli affreschi della cappella Bacci: il primo è l’uomo senza cappello che nella Battaglia di Eraclio e Cosroe si trova alla sinistra del re su cui sta per abbattersi la spada del vincitore; il secondo è la figura con la rossa oppelanda che compare nell’episodio dell’Incontro di Salomone con la regina di Saba. Poiché in entrambi i personaggi si è creduto di riconoscere Giovanni Bacci, uno dei committenti del ciclo aretino, a lui pensa Ginzburg anche per l’uomo vestito di broccato della tavola di Urbino, ritenendolo committente pure della Flagellazione; la figura barbuta sulla sinistra sarebbe invece il cardinal Bessarione, amico di Federico da Montefeltro cui forse era destinata la tavola; il personaggio centrale, infine, non sarebbe Oddantonio ma Buonconte da Montefeltro, figlio naturale di Federico battezzato dal porporato. L’analisi continua poi individuando nell’ambiente dipinto da Piero (la scala sullo sfondo è vista come un’allusione alla Scala santa venerata a Roma nel Palazzo lateranense e nota all’epoca come “scala di Pilato”) proprio la sala delle reliquie del Laterano e nella scena il riferimento alle celebrazioni del Venerdì santo(52).



Flagellazione (dopo il 1467, entro il 1470); Urbino, Galleria nazionale delle Marche.