RUBENS
E L’ITALIA

Per Pieter Paul Rubens l’idea che una educazione artistica fosse incompleta senza un viaggio in Italia era del tutto ovvia.

Ai nostri occhi, l’originalità della pittura fiamminga sta proprio nella sua diversità da quella italiana; perché, se esiste un dialogo tra le due scuole pittoriche fra le più importanti dell’Occidente, esso esiste senza la minima subordinazione dell’una o dell’altra. Sta di fatto che alla fine del Cinquecento l’Italia è considerata la madre delle arti. Inoltre, all’interno dell’ambiente familiare di Rubens era conservato il ricordo del soggiorno effettuato da Jan Rubens a Roma. E il fratello maggiore di Pieter Paul, Philip, seguiva le lezioni di Juste Lipse, l’erudito filologo e latinista dell’università di Lovanio, al quale la città di Roma aveva assegnato un diploma di “civis romanus”. Così il viaggio romano si tingeva di pellegrinaggio alle fonti dell’umanesimo e della cultura. La società dei Romanisti di Anversa, che riuniva giovani letterati e artisti, essendosi espansa al di là delle Alpi, testimonia che si trattava di un sentimento assai diffuso. Il Rinascimento creò la moda del viaggio in Italia, sentito dalla maggior parte degli artisti come una profonda esigenza. Anche Pieter Bruegel il Vecchio, le cui concezioni furono agli antipodi della “maniera italiana”, visitò con coscienza la penisola fino alla Sicilia. I pittori del Quattrocento come Rogier van der Weyden e Giusto di Gand, che viaggiavano o lavoravano in Italia, non lo fecero a scopo di studio o di apprendistato artistico. È soltanto a partire dal soggiorno in Italia, effettuato da Jan Gossaert, detto Mabuse, tra il 1508 e il 1511, che di fronte all’arte italiana cambiarono definitivamente l’atteggiamento e i sentimenti degli artisti settentrionali. Ludovico Guicciardini, storico fiorentino, dice nella Descrizione di tutti i Paesi Bassi (1567) che Gossaert «fu il primo che portò d’Italia in questi paesi l’arte del dipingere Historie e Poesie con figure nude». Carel van Mander afferma sullo stesso argomento: «Gossaert visitò l’Italia e altre contee, e fu tra i primi a riportare nelle Fiandre la buona abitudine di comporre opere religiose, popolate di figure nude e di soggetti tratti dalla Favola, cosa che non era, fino a quel momento, abitudine del nostro paese». Van Mander scrisse nello stesso momento in cui Rubens viaggiava in Italia: questi era partito con l’idea di migliorare la composizione grazie allo studio delle vestigia dell’antichità e delle opere dei maestri italiani del Rinascimento. Tuttavia questo viaggio superò di gran lunga quello di un semplice buon alunno applicato al lavoro. Definirlo come l’espressione di una curiosità tenace è ancora al di là della verità. I diversi spostamenti effettuati dall’artista durante gli otto anni del suo soggiorno italiano sono ben conosciuti. Nondimeno, il numero infinito di disegni che egli eseguì sotto la suggestione dei maestri italiani, di altri che egli ritoccò e della moltitudine di citazioni sparse di diverse opere nelle sue creazioni posteriori, fanno presumere che egli abbia attraversato la penisola in tutte le direzioni. La lista dei dipinti da considerare, che portò venti anni dopo il suo allievo Antoon van Dyck, andato a sua volta a immergersi nelle fonti italiane, fu probabilmente redatta su consiglio dello stesso Rubens. E ancora, non vanno dimenticati i numerosi disegni del periodo italiano, provenienti dalla scuola di Rubens, che sono stati distrutti nell’incendio dello studio dell’ebanista Boulle a Parigi nel 1720. Così, il 9 maggio 1600, Rubens lascia Anversa per l’Italia, munito della raccomandazione dei “Consules et Senatus Civitatis Antverpiae”. E accompagnato da un giovane, Déodat Delmont, pittore sconosciuto, che fu il suo primo allievo e collaboratore e al quale, molto più tardi, nel 1628, egli redigerà un attestato elogiativo: «quando il maestro attraversava le diverse contrade e particolarmente l’Italia il signor Déodat lo seguì in ogni luogo e per tutte le strade». Partire per l’Italia richiedeva allora un discreto coraggio: non esisteva nessuna istituzione atta a salvaguardare gli interessi dei giovani artisti. La più antica, l’Accademia di Francia, fu fondata solo nel 1666. Arrivato in Italia, Rubens si trovò, dunque, di fronte alla necessità di provvedere ai suoi bisogni. La fortuna gli sorrise. In giugno, a Venezia, un gentiluomo veneziano lo presentò al duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga, soggiornando così nello stato di Mantova dal 15 al 22 di quel mese. Potente signore, padrone di un piccolo stato dell’Italia settentrionale, Vincenzo Gonzaga cercava di riportare la sua capitale all’antico prestigio, al tempo in cui Andrea Mantegna, Giulio Romano e Tiziano lavoravano per i suoi antenati. Purtroppo il duca aveva più pretese che denaro e gli insuccessi politici e finanziari che subì il ducato nel 1627, dopo la morte dell’ultimo dei suoi figli, Vincenzo II, ne sono la triste prova. In quel tempo, tuttavia, egli era uno dei mecenati più prodighi dell’epoca, posseduto da una vera frenesia d’acquisto di opere d’arte, interessandosi a pittori quali Iacopo Tintoretto, uno dei figli del grande Tintoretto, l’incisore Andrea Andreani, stranieri quali Frans Pourbus il Giovane e Rubens, e fondando inoltre una cappella musicale con Claudio Monteverdi.


Deposizione nel sepolcro (1611-1612), copia da Caravaggio; Ottawa, National Gallery of Canada.

Battaglia di Anghiari (circa 1600-1608); Parigi, Musée du Louvre.

Ignudo (1630 circa), copia dagli affreschi di Michelangelo nella volta della Cappella sistina; Londra, British Museum.