LA FOGA DEL PENNELLO Ogni pittore è il testimone del suo tempo, è un poeta che si esprime con i pennelli e una tavolozza. ieter Paul Rubens è il pittore più colto del suo tempo, allo stesso livello dei grandi maestri del Rinascimento italiano, o di Nicolas Poussin o di Diego Velázquez. La vastità dei suoi interessi, come delle sue conoscenze, ne fanno uno spirito universale, di una profondità e di un prestigio ineguagliabili. L’epoca oscura nella quale visse, così come il lutto prematuro che lo privò di una persona cara, lo portarono a operare per la pace tra la Spagna e l’Inghilterra. Il suo ruolo fu coronato dal successo: ormai poteva parlare ai re Filippo IV e Carlo I, essendo considerato una delle persone intellettualmente più prestigiose del suo tempo. Era suddito del primo e aveva il secondo come cliente. Divenne consigliere di Stato del sovrano spagnolo, mentre il sovrano inglese gli conferì un titolo nobiliare. Ma grazie alla forza morale del genio, la sua pittura era già una prova di nobiltà. Egli stesso si definiva nella sua corrispondenza prima di tutto un pittore. Le lettere originali scambiate tra Rubens e i suoi amici intimi rivelano la sua personalità in maniera assai distaccata ma precisa, caratteristica dello stile epistolare del Seicento. A questo ritratto vivente dell’artista fa da contrappunto la sua pittura che emana un’immensa gioia di vivere. La sua vita fu felice, eccetto la crisi dovuta alla morte prematura della prima moglie. La sua pittura ne è il riflesso e la più alta espressione. «La furia del pennello», formula che dobbiamo allo storiografo italiano Giovanni Pietro Bellori (1672), condensa la più bella definizione dell’esuberanza rubensiana. Ma l’artista possiede anche l’antichissima tecnica della pittura fiamminga che procede per sovrapposizioni di strati pittorici molto sottili e di vernici trasparenti che, col tempo, hanno dato ai suoi quadri la luminosità dello smalto. Il carattere quasi incorporeo delle sue vernici doveva attirare l’ammirazione appassionata dei pittori che studiarono spesso il suo stile dal punto di vista della pura tecnica. Reynolds dice che «la differenza tra lo stile di Rubens e quello degli altri maestri, che erano apparsi prima di lui, non si nota in nessuna parte meglio quanto nella sua tinta che differisce totalmente da quella del Tiziano, del Correggio, e di tutti gli altri coloristi», trovando inoltre la graziosa espressione che «le sue figure sembrano nutrirsi di rose». Jean-François Mérimée riprende il discorso all’inizio: «Rubens ha dipinto spesso, a1 primo colpo, su dei pannelli estremamente lisci. Metteva poco colore nelle ombre, e anche nelle mezze tinte: soltanto nelle zone luminose si vedono tocchi impastati pesanti». Il genio pittorico risiede in questo equilibrio unico tra impetuosità e arditezza di concezione e in una estrema qualità d’esecuzione, di una raffinatezza meticolosa. Come scrive Bellori, che apprezzava Rubens con gli occhi della sua stessa epoca, le sue figure sembrano «eseguite in un corso di pennello e ispirate in fiato». Pieter Paul Rubens ebbe la vocazione della pittura. La struttura della società, schematica e rigida, rendeva allora, nelle Fiandre, impossibile il libero esercizio dei mestieri artistici. Il sistema delle corporazioni o delle gilde, che conobbe grande espansione nei Paesi Bassi a partire dal Medioevo, regolava nei minimi dettagli l’accesso a una professione per apprendistato, favorendo così i figli dei maestri e la tradizione di bottega. Gli artisti, pittori, scultori, architetti e mercanti d’opere d’arte erano riuniti nelle gilde dedicate a san Luca, il patrono degli artisti. Che Rubens, figlio di una famiglia agiata senza precedenti artistici, abbia cercato di imparare il mestiere di pittore, è insolito: fu un processo straordinariamente moderno. La famiglia di Rubens era molto conosciuta ad Anversa. Il nonno dell’artista, Bartholomeus Rubens, era mercante di spezie. Aveva sposato nel 1523 Barbara Arents, giovane appartenente alla piccola nobiltà. I due ritratti di Bartholomeus Rubens e di Barbara Arents, eseguiti da Jacob Claesz, conservati oggi nel Rubenshuis ad Anversa, mostrano i nonni di Rubens come i tipici rappresentanti di quella classe sociale che fece la fortuna delle Fiandre: una borghesia ricca alleata al patriziato. La coppia ebbe un solo figlio, Jan Rubens, che nacque nel 1530 e ricevette un’ottima educazione classica, ottenendo il diploma di diritto civile e di diritto canonico. Rientrato nella sua città natale, sposò nel 1561 Maria Pijpelincx, figlia di un mercante appartenente alla borghesia agiata. Nel 1562 fu nominato scabino della città di Anversa, una funzione amministrativa molto importante nella vita municipale; conservò questa carica fino al 1568. L’epoca era molto infelice per questo genere di carriera. I progressi della religione riformata nelle Fiandre condussero velocemente a implicazioni politiche. Jan Rubens si schierò dalla parte dei riformati, sua moglie da quella dei cattolici. L’anno 1568 conobbe la repressione del duca d’Alba, governatore per conto del re di Spagna Filippo II. Jan Rubens lasciò la carica e si rifugiò a Colonia dove divenne consigliere giuridico d’Anna di Sassonia, la seconda moglie di Guglielmo il Taciturno, principe d’Orange-Nassau, l’istigatore della resistenza antispagnola. Rubens nacque pertanto in esilio, a Siegen in Westfalia, il 28 giugno 1577, vigilia della festa dei santi Pietro e Paolo. Era il sesto figlio della coppia. Il più conosciuto tra i suoi fratelli è Philip Rubens, che avrebbe dovuto intraprendere la carriera d’umanista ma morì prematuramente all’età di quarant’anni. Fu per suo fratello un abilissimo agente, facendolo conoscere, al ritorno dal periodo trascorso in Italia nel 1608, a tutta la società di Anversa e procurandogli immediatamente importanti commissioni. Così, Rubens divenne il protagonista di una delle più nobili rivoluzioni della storia dell’arte: nello spazio di cinque anni, tra il 1609 e il 1614, la pittura fiamminga, che era specificatamente anversese, si mise al diapason della vasta opera di Rubens. P Adamo ed Eva in Paradiso (1598-1600 circa); Anversa, Rubenshuis. la casa di Rubens (Rubenshuis) ad Anversa, particolare di un’incisione di Jacques Harrewijn del 1684, da un disegno di Jan van Croes. Anversa, Rubenshuis, la facciata sul cortile. Anche per un calvinista convinto come Jan Rubens, che si stabilì nel 1578 a Colonia, le cose andarono piuttosto male. Don Juan d’Austria, figlio naturale di Carlo V, vincitore di Lepanto, fu mandato come governatore generale nei Paesi Bassi per ristabilire l’ordine. Egli morì di peste nel 1578. Uno dei suoi amici che l’aveva accompagnato nelle Fiandre, il giovane principe di Parma, Alessandro Farnese, in seguito duca di Parma e di Piacenza, lo rimpiazzò temporaneamente. Alessandro si rivelò un genio militare e politico. Nel 1578, non restavano sotto il dominio dei cattolici spagnoli nei Paesi Bassi che alcuni lembi di territorio: l’Unione d’Utrecht, atto di nascita delle Province Unite e dei Paesi Bassi attuali, è dell’anno seguente. Farnese conduce la guerra di riconquista occupando, una città dopo l’altra, l’intero territorio dei Paesi Bassi, lasciando ai vinti la scelta tra l’abiurazione o l’esilio. La mancanza di mezzi, forse voluta da Filippo II che vedeva senza dubbio con gelosia l’ascesa dell’italiano in quest’Europa a fuoco e sangue, gli impedì di impadronirsi della zona dei fiumi, le contee d’Olanda e di Zelanda. Quando muore Jan Rubens nel 1587 a Colonia, la futura sorte dei protestanti non è chiara. La vedova Maria Pijpelincx, rimasta cattolica, potrà dunque rientrare ad Anversa nella primavera dell’anno 1589. Pieter Paul seguirà le lezioni della scuola latina di Rumoldus Verdonck, per diventare in seguito paggio di Margherita di Ligne, vedova di Filippo, conte d’Arenberg. Il giovane Pieter Paul è solidamente avviato sulla via che sembra inserirlo nell’ambiente intellettuale di Anversa nell’età della Controriforma. Ma, nell’attesa, il fanciullo copia tutte le incisioni che trova alla sua portata, principalmente opere tedesche di Hans Holbein, Joost Amman, Hans Weiditz, Tobias Stimmer. Intorno al 1591 si orienta verso la pittura. Sua madre si è rassegnata a perdonare al figlio una passione così esclusiva e sopraggiunta così tardi. Il fatto all’epoca è eccezionale, perché, normalmente, un apprendista entrava in uno studio ancora bambino, imparando a preparare una tela o a maneggiare i pennelli come si impara a leggere e a scrivere. Certamente Rubens era un po’ in ritardo rispetto ai giovani apprendisti della sua età, cosa che spiega lo sbocciare progressivo del suo talento e l’estremo interesse che egli rivolgerà in ogni momento della vita alle opere dei predecessori, esclusi i più antichi, poiché la loro arte non corrispondeva assolutamente alla sensibilità contemporanea. Nel 1592 la madre di Rubens sistema il giovane come apprendista presso Tobias Veraecht. Prima di divenire maestro autonomo della gilda di san Luca nel 1598, egli fu anche allievo di Adam van Noort e di Otto van Veen (Vaenius). Questi tre artisti traggono oggi a loro gloria principale proprio il fatto di di aver seguito i primi passi del giovane pittore. D’altra parte il testo poetico steso in olandese dal notaio e retore Cornelis de Bie ( , 1662) non cita assolutamente Rubens a proposito di Veraecht, ma piuttosto le qualità esecutive di quest’ultimo, la finezza del suo pennello, il suo gusto per i paesaggi con rovine e il suo viaggio in Italia, dove soggiornò alla corte dei granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici. Il gusto del paesaggio si affermò più tardi in Rubens: ma egli dovette a questo primo maestro alcuni insegnamenti. Inoltre Veraecht è stato tra i primi a suggerirgli che una educazione artistica è incompleta senza un viaggio in Italia. Carel van Mander, il più antico biografo conosciuto e contemporaneo ai fatti, scrisse nel suo (1604): «C’era ad Anversa, Tobias Veraecht buon pittore di paesaggi». Lo stesso Carel van Mander è altrettanto breve a proposito del secondo maestro di Rubens, Adam van Noort, «che è un abilissimo pittore di figure». Questo approccio laconico così tipico dello storiografo fiammingo, egli stesso pittore, rifugiato per problemi religiosi in Olanda, nasconde un giudizio di valore ripreso nella legenda che figura sull’incisione eseguita da Hendrik Snijers per di Cornelis de Bie (1662): «Adam van Noort fu un pittore rinomato e insignito di magnifiche ordinanze, cosa che si può vedere nelle diverse opere in possesso degli amatori». Figlio di Lambert van Noort, pittore manierista morto povero ad Anversa nel 1570, si affermò per opere di corretta composizione manieristica. La ragione del distacco di Rubens da van Noort si spiega col suo rimprovero nei confronti del maestro, di cui riferisce Jean-Baptiste Descamps (1765): «Rubens diceva che questo pittore avrebbe sorpassato i suoi contemporanei se avesse visto Roma e se avesse cercato di completare la sua formazione su buoni modelli», e ci riferisce sulla «condotta abietta e libertina di Van Noort, unita al suo umore brutale». Il terzo maestro di Rubens fu sicuramente il migliore che si potesse trovare in quel momento ad Anversa: Otto van Veen, che latinizzò il suo nome in Otto Vaenius, aveva già una lunga carriera alle spalle. Era stato in Italia dal 1575 al 1580. A Roma aveva conosciuto Federico Zuccari, mentre a Parma aveva studiato le opere di Correggio. I tre maestri di Rubens hanno avuto ciascuno un ruolo importante nella sua formazione. Al giovane ancora imbevuto di lettere latine, Veraecht diede una tecnica accorta, il bagaglio indispensabile che ogni artista fiammingo doveva possedere. Egli apprese dal maestro gli elementi di un linguaggio che dominò meglio di chiunque. Adam van Noort, invece, lo familiarizzerà con la nozione della distinzione dei generi, che a quell’epoca determinava la priorità di un pittore di figura rispetto a un pittore di paesaggi e di oggetti inanimati. Otto van Veen, infine, gli diede il gusto dello stile. La sua maggiore preoccupazione fu quella di inculcare all’allievo il desiderio di viaggiare. Fu così che, come dice Roger de Piles, «Rubens prese la decisione di andare in Italia». Het Gulden Cabinet Schildersboek Het Gulden Cabinet Ritratto di giovane (1597); New York, Metropolitan Museum of Art. Autoritratto (1639 circa); Vienna, Kunsthistorisches Museum. Giudizio di Paride (1609 circa); Londra, National Gallery. La tela a soggetto mitologico fu probabilmente dipinta per il duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga, che Rubens conobbe durante il suo soggiorno a Venezia e che lo ingaggiò per la sua corte. Rubens risente ancora nettamente dell’influsso del Vaenius (Otto van Veen), uno dei primi maestri olandesi del giovane pittore, anche se appaiono già significativi elementi che testimoniano il suo soggiorno italiano, desunti in particolare da Giulio Romano, Tintoretto e da Marcantonio Raimondi. La figura di Paride, il figlio di Priamo allevato come pastore che scelse Venere tra le tre divinità giunte al suo cospetto, ripete la posizione di uno dei personaggi della Vocazione di san Matteo di Caravaggio, artista che Rubens ammirò e copiò durante il suo soggiorno romano.