ARIA
DI MONTMARTRE

«Lo sforzo più ambizioso dell’arte moderna», definì Fénéon la grande tela con le Modelle (200 x 250 cm) oggi alla Barnes Foundation. Seurat la pensa forse sin dal 1886, dopo La Grande Jatte, come dimostrano alcuni schizzi. Ma è dal 1887, al ritorno a Parigi da Bruxelles, che ci lavora. Si chiude nell’atelier per settimane, senza ricevere neppure Signac.

Ritrae la stessa modella nuda in tre pose differenti, a grandezza naturale, in un angolo dello studio di boulevard de Clichy, con uno sfondo di parete su cui è appesa La Grande Jatte e un altro su cui spiccano quattro studi incorniciati di bianco. L’intento è quello di dimostrare, in risposta ad alcuni critici come Gustave Kahn, che sosteneva che «lo scoglio del divisionismo è il nudo e soprattutto la presentazione della figura umana», che la sua tecnica era in grado di rappresentarli. Esegue studi preliminari per ogni singola figura e oggetto, a matita, inchiostro, olio, non numerosi come i precedenti, ma tali da permettere di seguire tutte le tappe sino alla tela finale. «Lavora con accanimento, privandosi di tutto», ricorda Arsène Alexandre nella necrologia del 1891. 

Non mancano modelli antichi, che Seurat può vedere al Louvre come Le tre Grazie, una scultura romana replica d’un prototipo del II secolo a.C., o l’Apollo e Marsia del Perugino (che passava allora per un Raffaello); o ancora Le tre Grazie di Raffaello a Chantilly, capolavoro forse noto attraverso stampe. E dipinti contemporanei come la Bagnante di Valpinçon di Ingres del 1808, al Louvre, L’atelier di Courbet, Le déjeuner sur l’herbe di Manet, le varie bagnanti di Cézanne e di Renoir degli anni Ottanta, dipinti come L’autunno di Puvis de Chavannes del 1864, esposto al Salon del 1885. Opere ammirate dai neoimpressionisti. 

L’interpretazione di Seurat è originale, perché mescola antico e moderno e trasferisce una comune scena di atelier in una atmosfera quasi senza tempo, sottolineata dalla incomunicabilità delle tre figure, tradizionalmente abbracciate o in conversazione. Il dipinto, di difficile realizzazione, rappresenta il tentativo di Seurat di ovviare a certe critiche sul pointillisme e sperimentarne tutte le possibilità tecniche. Nell’agosto 1887, provando sulla tela una nuova preparazione, ha momenti di demoralizzazione. Scrive a Signac, che a Collioure stava affrontando gli stessi problemi: «Disperante tela gessosa. Non capisco più niente. Tutto fa macchia. Lavoro penoso». 

Procede con lentezza, con pentimenti e ritocchi per tutto il 1887. Nel giugno di quell’anno Camille Pissarro va a vedere il quadro nello studio. «Progredisce», scrive a Signac, «è già incantevole e armonioso. Diventerà certamente una cosa molto bella, ma sorprendente sarà l’esecuzione della cornice. Ne ho già visto l’inizio. È indispensabile, mio caro Signac. Noi saremo costretti a fare altrettanto. Il quadro non risulta più lo stesso se circoscritto nel bianco o in tutt’altra materia. Effettivamente non si può avere idea del sole o del tempo grigio senza questo complemento indispensabile. Dal canto mio, vado conducendo lo stesso esperimento; ben inteso non esporrò prima che il nostro amico Seurat avrà fatto conoscere la priorità della sua idea, com’è giusto». 

Nel 1888 il dipinto è finito, ma Seurat non sembra soddisfatto; infatti ne dipinge subito una copia più piccola con un pointillisme meno minuto, più incisivo anche a distanza. Si prova anche in un disegno “au petit point”, tecnica adottata già dagli amici neoimpressionisti.


Tour Eiffel (1889); San Francisco, Fine Arts Museums of San Francisco.