L'IMPEGNO
POLITICO

Nel gennaio del 1505 il Fondaco dei tedeschi, luogo di soggiorno e di commercio dei mercanti nordeuropei, ma proprietà della Signoria, fu distrutto da un incendio; la ricostruzione fu assai rapida, e la decorazione esterna fu compiuta, almeno per quel che riguarda Giorgione, negli anni 1507-1508.

Nel novembre 1508 Giorgione chiede alla magistratura competente il saldo delle spettanze, e il mese successivo una commissione convocata da Giovanni Bellini e composta dal Carpaccio, da Lazzaro Bastiani e da Vittore di Matteo stima il valore dell’opera in 150 ducati. I provveditori decidono per una riduzione a 130: d’autorità, e non col consenso di Giorgione come spesso si è scritto. Questo è tutto ciò che ci viene detto dai documenti, in cui Tiziano non compare. È il Dolce – con la specificazione anagrafica di cui s’è detto – a ricordarlo all’opera sulla facciata di terra mentre Giorgione lavorava a quella sul Canal grande; Vasari ritiene invece che Tiziano fosse all’opera dopo che Giorgione aveva portato a termine il suo compito. Gli affreschi si deteriorarono piuttosto rapidamente, e le parti staccate (oggi ricoverate in diversi luoghi veneziani, il Museo di palazzo Grimani e la Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro) difficilmente si leggerebbero senza l’ausilio delle incisioni settecentesche dello Zanetti.

Il programma della decorazione giorgionesca non è purtroppo ricostruibile: Vasari rilevava con fastidio di non capirci nulla, il che non fa che confermare quanto si può complessivamente dedurre da lui stesso e dalle descrizioni sei-settecentesche, e cioè che si trattava di un programma astrologico, come per il fregio di Castelfranco e i Filosofi. Ma è difficile dire quali destini questa riservata scienza pronosticasse per Venezia, dalla facciata certamente dipinta con inedita misura monumentale e ammaestrata efficacia esornativa. 

Anche della facciata di terra non è possibile ricostruire il programma complessivo: ma basta a far programma, per così dire, l’affresco principale assegnato a Tiziano sulla scorta concorde di antiche indicazioni e moderne considerazioni, dove una donna di robusta corporatura e fiero aspetto, troneggiante su un seggio non ben definibile, calpesta una testa mozzata, mentre Nella pagina a fianco: Miracolo del marito geloso (1511); Padova, Scuola del Santo. con la mano destra brandisce la spada dinanzi a quello che per caratteristiche inconfondibili di abbigliamento militare si qualifica come un soldato imperiale. In virtù del suo crudo trofeo, la donna rimanda a Giuditta con la testa di Oloferne; per la positura e la spada, rimanda alla personificazione della Giustizia. Questa donna giusta come la Giustizia stessa, e casta, saggia e forte come Giuditta, come lei capace di sconfiggere il nemico e liberare il suo popolo, è un’allegoria di Venezia, tempio di Giustizia, Prudenza e Fortezza, vergine inviolata e inviolabile, pronta a levar la spada a baluardo della città contro un nemico di precisa identità e attualità, un soldato dell’imperatore Massimiliano, tedesco come i tedeschi che albergano e commerciano dietro il muro dipinto, e che avviandosi alla loro sede saranno costretti a incrociare l’ammonimento(4). Tra la fine del 1508 e i primi del 1509, quando Massimiliano scioglie le ultime ambiguità e s’affianca alle forze riunite contro Venezia nella lega di Cambrai, i magistrati veneziani preposti al Fondaco orientano il programma sulla chiara affermazione di virtù civiche sostenute dalla protezione divina, e ne consegnano a Tiziano, con la traduzione figurativa, la responsabilità politica.


San Marco in trono tra i santi Cosma, Damiano, Rocco e Sebastiano (Pala di san Marco) (1510); Venezia, Santa Maria della Salute.


(4) S. Romano, Giuditta e il Fondaco dei Tedeschi, in Giorgione e la cultura veneta tra ‘400 e ‘500, atti del convegno (Roma, 1978), Roma 1981, pp. 113-125; vedi ora A. Nova, Giorgione e Tiziano al Fondaco dei Tedeschi, in Giorgione entmythisiert, atti del convegno (Vienna, 2004), a cura di S. Ferino-Pagden, Turnhout 2008, pp. 71-104.