IL RITRATTO,
LA CORTE, LA CITTÀ

Già ho accennato al rapporto con Ferrara, che produce, oltre ai tre quadri famosi d’amore e d’ebbrezza, ritratti di straordinaria intensità emozionale quale il presunto Vincenzo Mosti a Pitti e un’opera indubbiamente paradigmatica per i rapporti tra il ducato e la chiesa, il Tributo della moneta di Dresda.

Di quello con Mantova e i Gonzaga, perduti i magniloquenti Cesari tuttavia ricordati da copie e incisioni, restano a testimonianza splendidi ritratti come quello dell’Uomo dai guanti al Louvre e quello dello stesso Federico II al Prado, nonché quadri di devozione come la Deposizione di Cristo e la Madonna del coniglio, ambedue al Louvre. 

Più interessanti – e siamo ormai agli anni Trenta – sono gli esiti del rapporto con la corte di Urbino. Nei ritratti ducali degli Uffizi (1536-1538), Tiziano rappresenta Francesco Maria della Rovere nel suo ruolo di capitano generale della Repubblica veneziana, con gran profusione di insegne del potere militare, ma gli colloca in viso tutta la stanchezza degli anni estremi; mentre espone con simboli facili e appropriati la serietà, la fedeltà, l’accortezza di Eleonora Gonzaga, rilevando tuttavia nella sua appassita bellezza l’ansia A destra: Uomo dai guanti (1520-1525 circa); Parigi, Musée du Louvre. Nella pagina a fianco: Carlo V a cavallo (1548); Madrid, Museo del Prado. della compunzione esibita, la tensione del costante controllo. 

Assai diverse sembrano essere le esigenze del figlio Guidobaldo, che nell’arco del 1538 sollecita più volte il suo agente a Venezia all’acquisto della «donna ignuda» che è in mano a Tiziano e al tempo stesso chiede in maniera pressante alla madre restia il denaro necessario. Questa «donna ignuda» è la celebre Venere di Urbino degli Uffizi, onorata in tempi recenti di diversi studi individuali e collettivi, che stenta tuttavia a emanciparsi dalle principali ideologie che hanno attraversato la storia dell’arte sullo scorcio del secolo passato: dall’iconologia tradizionale, che l’ha interpretata come allegoria di sublimazione d’amore in termini neoplatonici, al femminismo radicale statunitense, che l’ha vantata quale esempio di autoconoscenza del corpo(12)

Non v’è dubbio che si tratti di un quadro clamorosamente erotico: basta osservare i capelli sparsi sulle spalle, la mano che nascondendo richiama e suggerisce, con l’ausilio di un’ombra profonda, quel che non si può rappresentare, e poi lo sguardo invitante e il letto disfatto. E non v’è dubbio che la protagonista sia Venere: ma naturalmente una Venere mondana a palazzo, con gli attributi delle rose nella mano e del mirto sul davanzale, con le ancelle che traggono dal cassone nuziale le ricche vesti che le competono. Si tratta insomma di un quadro che sottolinea l’importanza della dimensione erotica all’interno del matrimonio. Dunque, ricordando che Guidobaldo aveva sposato nel 1534, per ragioni politiche, Giulia Varano da Camerino, allora fanciulla di dieci anni e mai (per quel che deduciamo da altre immagini) particolarmente attraente e disinvolta, possiamo facilmente immaginare che qualche anno dopo egli desiderasse in ogni modo persuadere la sposa adolescente a umano connubio fornendole un modello appropriato e culturalmente inattaccabile, e comprendere che Tiziano, come in altre occasioni, entrò in gioco con un capolavoro di erotismo e funzionalità, ma anche di elegante travestimento. 

Per la cronaca: lo stesso discorso s’applica nel complesso, una decina d’anni più tardi e nel milieu imperiale, alle varie redazioni di Venere con organista(13). E non dovremo troppo stupirci se, nei panni metaforici del musico, Filippo II si volge con misurato ed elegante contegno a fissare negli occhi la sua Venere, mentre gli altri sconosciuti gentiluomini, probabilmente meno costretti da esigenze d’etichetta, si girano alquanto scompostamente a rimirare tutt’altro punto del corpo disponibilissimo della dea. 

Dopo gli Este, i Gonzaga, i Della Rovere: Carlo V, Isabella e Filippo II, e la cerchia imperiale di politici, funzionari e militari, i Granvelle, Alfonso d’Avalos, Diego Hurtado de Mendoza; ma anche Francesco I re di Francia, anche il grande elettore Giovanni Federico di Sassonia; papa Paolo III e gli altri Farnese; tra i dogi veneziani, almeno Andrea Gritti e Francesco Venier; tra gli ecclesiastici di spicco, Cristoforo Madruzzo e Ludovico Beccadelli; tra gli intellettuali, Pietro Bembo e Baldassarre Castiglione, Pietro Aretino e Sperone Speroni, Giulio Romano e Daniele Barbaro; e tanti, infine, che hanno perduto, col nome, identità e biografia. Con tutte le possibili tare da praticare su incerte identificazioni e discutibili attribuzioni, ma per altro verso con tutte le integrazioni da apportare subito per via di numeri documentati e perduti, e in futuro per via di nuove indagini, il provvisorio elenco è sufficiente a ricomporre una straordinaria galleria di ritratti.


Carlo V a cavallo (1548); Madrid, Museo del Prado.


(12) R. Goffen, op. cit. (nota 8), pp. 146-159; Venere svelata. La Venere di Urbino di Tiziano, catalogo della mostra (Bruxelles, Palais des Beaux-Arts, 11 ottobre 2003 - 11 gennaio 2004), a cura di O. Calabrese, Cinisello Balsamo (Milano) 2003.


(13) D. Rosand, Ermeneutica amorosa. Observations on the Interpretation of Titian’s Venuses, in Tiziano e Venezia, cit. (nota 5), pp. 375-381;R. Goffen, op. cit. (nota 8), pp. 159-169.