IL MANIERISMO,
LA RELIGIONE

Il michelangiolesco dinamismo del Pordenone negli anni Venti e Trenta; negli stessi anni, e oltre, le destrutturazioni e i rimontaggi di Giulio Romano, ma anche il romano decoro del Sansovino e le lucide codificazioni del Serlio; più tardi (1539- 1542), le decorative eleganze di Francesco Salviati e Giorgio Vasari.

Ma soprattutto quanto poté precocemente vedere di Michelangelo e di Raffaello in traduzione incisoria; e poi quanto d’antico poté vedere nelle collezioni veneziane, quanto d’antico e di moderno dentro e attorno alle corti signorili (un esempio per tutti: il Correggio di Parma), e infine a Roma nel soggiorno del 1545-1546. Il manierismo in Tiziano non è un incidente, una svolta, una crisi, né dipende soltanto dalle dirette occasioni veneziane: è piuttosto l’attraversamento sperimentale delle esperienze e dei linguaggi d’attualità, prestissimo avviato e regolarmente praticato, e il riversamento di quelle esperienze e quei linguaggi, come strumenti di aggiornamento culturale e di arricchimento espressivo, nella consolidata prassi della tradizione pittorica veneziana. Per dirla in sintesi con una delle fulminanti formule di Erwin Panofsky: «Tutte queste “influenze” servirono soltanto a nutrire la sua originalità. Nessun altro grande artista si appropriò di tanto facendo così poche concessioni; nessun altro grande artista fu tanto flessibile pur restando completamente se stesso»(16)

Nonostante questo, la pittura “veneziana” di Tiziano mostra ora un rallentamento che è conseguenza della perdita dei referenti di maggior rilievo politico e culturale. È come se progressivamente egli sottraesse alla città quell’impegnata attenzione, quella funzionale disponibilità su cui aveva costruito il suo successo e il suo credito; o, più realisticamente, come se la città – attraverso la sua classe dominante, le sue istituzioni politiche ed ecclesiastiche – progressivamente gli ritirasse quel credito per trasmetterlo ad altri: a Jacopo Tintoretto, che s’affermava con la perfetta spettacolarizzazione di un prodigio cittadino nel Miracolo dello schiavo (1548) per la Scuola di San Marco; a Paolo Veronese, protagonista degli anni Cinquanta con i soffitti delle sale dei Dieci in Palazzo ducale, della Libreria marciana, della chiesa di San Sebastiano. Dopo l’imperdonabile ritardo nella consegna della Battaglia, ecco i sospetti di ordine religioso e politico generati dai soffitti con storie bibliche per Santo Spirito, poi alla Salute (Caino e Abele, Sacrificio di Isacco, David e Golia; 1542-1544), sui temi caldi del libero arbitrio, della giustificazione per fede, della grazia; e dall’Ecce Homo (1543) per il mercante Giovanni d’Anna, ora a Vienna, con i ritratti del frate eretico Bernardino Ochino e del sultano ottomano Solimano il Magnifico(17). E allora Tiziano s’allontana anche fisicamente da Venezia: è a Roma da papa Paolo III tra il 1545 e il 1546, ad Augsburg da Carlo V nel 1548 e poi tra il 1550 e il 1551. 

In questi anni l’unico episodio importante è la pala con San Giovanni Elemosinario, eseguita per la chiesa intitolata a questo santo a una data finalmente fissata su basi documentarie al 1549-1550(18), che esalta una carità ben definita in ambito ecclesiastico (le vesti del santo, l’attendente con la croce, gli scalini, la tenda che s’apre sul cielo), apparentemente offerta da individuo a individuo e di fatto da categoria a categoria, dal tipo del santo al tipo del povero, con gesto eloquente di larghezza e nobiltà che non riesce tuttavia a mascherare la misura e la degnazione. Una rappresentazione astratta, in ogni caso, a petto della realtà storica: a petto, magari, della Elemosina di sant’Antonino dei Santi Giovanni e Paolo (1542), dove Lorenzo Lotto aveva celebrato l’assistenzialismo burocratico e discriminatorio recentemente instaurato dalle leggi veneziane e gestito dalle parrocchie, sottolineando però l’ispirazione angelica del santo domenicano, l’efficienza di un chierico e la pietà dell’altro, la dolorosa necessità della gente implorante(19).


Santa Margherita e il drago (1560-1565); Madrid, Museo del Prado.


(16) E. Panofsky, op. cit. (nota 1), p. 15.


(17) F. Polignano, I ritratti dei volti e i registri dei fatti. L’Ecce Homo di Tiziano per Giovanni d’Anna, in “Venezia Cinquecento”, II, 4, 1992, pp. 7-54; A. Gentili, op. cit. (nota 14), pp. 184-201.


(18) C. Terribile, Il doge Francesco Donà e la Pala di San Giovanni Elemosinario di Tiziano, in “Venezia Cinquecento”, VII, 14, 1997, pp. 47-139.


(19) A. Mazza, La pala dell’Elemosina di Sant’Antonino nel dibattito cinquecentesco sul pauperismo, in Lorenzo Lotto, atti del convegno (Asolo, 18-21 settembre 1980), a cura di P. Zampetti e V. Sgarbi, Treviso 1981, pp. 347-364.