CENNI SU ROSSETTI POETA na duplice vocazione può essere sinonimo di ricchezza ma anche elemento lacerante, e tale fu per Rossetti: pur avendo avuto precoci e intense esperienze poetiche, fin da ragazzo egli decide di concentrare le sue energie prevalentemente sulla pittura, ma negli anni della maturità, deluso, afferma di sentirsi soprattutto poeta. U «La mia opinione», scrive nel 1870 a Thomas Gordon Hake, «è che sono un poeta prima di tutto, e che sono le mie tendenze poetiche a dare valore alla mia pittura: ma essendo la pittura – e non la poesia – una fonte di guadagno, ho espresso la mia poesia specialmente in quella forma. D’altronde la questione del pane quotidiano ha fatto sì che buona parte della mia pittura non sia altro che roba per far quattrini, mentre i miei versi, non rendendo niente, sono rimasti non prostituiti ». Affermazione che riflette il fastidio di dover scendere a patti con un mercato che pone continui limiti alla libertà creativa, tedio della pittura come routine e, forse, sfiducia di fronte a un’attività alla quale non si è mai sentito rigorosamente preparato dal punto di vista tecnico. Un risentimento che esplode financo in invettive: «Vorrei poter vivere di poesia, vorrei vedere dannata la pittura, se potessi!», scrive a Ford Madox Brown nel 1871. Ma al di là degli stati d’animo, l’artista paga lo squilibrio di una duplice tensione creativa; infatti, nel sonetto (1854), che William Michael Rossetti riferisce al suo senso di fallimento per l’incapacità di conciliare l’una e l’altra vocazione, parla di speranze divise, che lottano inutilmente fra loro e infine vagano, in una fraternità senza riposo, «battendo agli stessi polverosi alberghi». «La poesia di Rossetti conosce un solo mondo, vive in un suo angolo come un prigioniero assolutamente appagato, come un prigioniero per cui il senso della prigionia sia una gioia», dirà Arthur Symons. Ed in realtà in poesia, libero da ogni tirannia, può permettersi di essere compiutamente se stesso: immagini e simboli riflettono il mondo della sua esperienza interiore, anche se il rischio di averla mantenuta in una zona di privilegio, sacrificando in pittura energie e talento e fini pratici, non sarà senza conseguenze. Perduto due volte Un’analogia visiva al suo atteggiamento verso la poesia, come nota Joan Rees, quel suo considerarla valore geloso da difendere, può ritrovarsi nel disegno del 1849, , che rappresenta Dante sorpreso da un gruppo di visitatori, mentre disegna un angelo, nel ricordo della morta fanciulla. Le parole della Vita nuova, trascritte in basso, confermano l’impressione d’intimità violata, l’interruzione di un colloquio interiore, riassunto nell’esclamazione dantesca: «Altri era testé meco». Circola nel piccolo spazio una sensazione di immediatezza e insieme di mancanza di senso del tempo: come Dante, Rossetti invoca la memoria a preservare l’istante nello scorrere della vita, mentre tutto sembra alludere alla gelosa intimità di quel mondo poetico, che vorrà tener segreto per tanti anni. Quando nel 1870 si decide a palesarlo, le reazioni ostili della critica producono su di lui un effetto così sproporzionatamente nefasto, da far precipitare la sua vita verso l’autodistruzione. L’attività letteraria di Rossetti si concentra in tre nuclei fondamentali: le traduzioni da Dante e dai poeti primitivi, realizzate dal 1845 al 1849 e pubblicate in volume nel 1861 col titolo , e nella successiva redazione del 1871, come . Il primo anniversario della morte di Beatrice The Early Italian Poets from Ciullo d’Alcamo to Dante Alighieri Dante and His Circle Il primo anniversario della morte di Beatrice (1849), particolare; Birmingham, Birmingham Museum and Art Gallery. La barca dell’amore (1874-1881); Birmingham, Birmingham Museum and Art Gallery. Inoltre i due volumi di poesie originali: (1870), che raccoglie liriche scritte fin dalla seconda metà degli anni Quaranta; e (1881) che comprende, oltre a una scelta di componimenti di vario genere, la sequenza dei centodue sonetti di La casa della vita e tre lunghe ballate: (1871), (1880) e (1881). Ricordiamo anche la sua attività di prosatore: (1847), (1847), (1868), e l’attività, prevalentemente giovanile, di traduttore dal tedesco e dal francese: Il canto dei nibelunghi, Eleonora di Bürger, Colomba di Merimée, liriche di Villon e ancora altri titoli. Di seguito un brano di Walter Pater, (1883), in (1889): «Con [Rossetti], come in alcuni revival della vecchia età mito-poetica, le cose comuni – alba, mezzogiorno, notte – sono piene di espressione umana e intima, piene di sentimento. I delicati, piccoli scenari, disseminati qua e là nella sua poesia […] attestano, con la loro assoluta freschezza e semplicità, di una attitudine pittorica e descrittiva nel rappresentare il mondo animato, che è sicuramente una metà almeno, del fascino di quell’altro stile più remoto e mistico. Poiché in Rossetti, il senso della natura inanimata si traduce, dopotutto, in qualcosa di più alto, cui si unisce un qualche dato fortemente emotivo. Ciascuno capisce come ciò possa accadere ad un momento critico della vita […] per Rossetti è così semplice perché per lui la vita è crisi ad ogni istante. Una grande capacità di essere colpito dalle misteriose condizioni della vita di ogni giorno, dal mistero in sé, conferisce una gravità singolare a tutta la sua opera; tali cose non divengono mai banali per lui. Ma, dovunque, l’intensità ideale dell’amore – dell’amore basato su un tipo perfetto e peculiare di bellezza fisica o materiale – è al centro di quelle misteriose facoltà; Giovinezza e Morte, Destino e Fortuna, Fama, Gloria poetica, Memoria, Oblio e simili. Rossetti è uno di quelli che, per dirla con Merimée, se passionnent pour la passion, uno degli innamorati dell’Amore. E inoltre, come per Dante, parlare del suo tipo di bellezza come di bellezza fisica è in parte sviante […]. Come Dante egli non conosce regione dello spirito che non sia anche sensuale e fisica. Il mondo delle ombre, che percepisce così potentemente, ha anche le vie e le case, la terra e l’acqua, la luce e l’oscurità, il fuoco e i fiori, così importanti nel plasmare quelle caratteristiche e quegli aspetti fisici, che valgono per tanta parte dell’anima. Allo stesso modo per Rossetti i grandi sentimenti reciproci degli esseri umani, guidati e determinati, nel caso del suo talento squisitamente pittorico, soprattutto dalla cosiddetta bellezza fisica, costituivano la grande innegabile realtà delle cose, la solida, compatta sostanza di un mondo, nel quale tutto avrebbe anche potuto essere nient’altro che ombra. Le sorti di tali sentimenti, del grande amore così definito; i suoi sofismi, talvolta il suo languore soprattutto le sue sofferenze; i suoi conflitti, fortunati o sfortunati, con gli altri grandi problemi; il suo manifestarsi nella loro luce e nella loro ombra, mentre il lungo giorno della vita si snoda; tutto ciò concepito con immaginazione ricca particolare di quella che egli ha designato come sua opera poetica fondamentale «un’opera che può essere chiamata La Casa della Vita alla quale contribuiscono la maggior parte dei suoi sonetti e delle sue canzoni. La dimora nella quale uno ritrova sé stesso per caso o destino, ma che può solo in parte modellare per sé; mai del tutto propria, se può essere mutata con troppa facilità; dove ogni oggetto ha le sue associazioni – gli specchi profondi, i ritratti, le lampade, i libri, i capelli intrecciati dei morti, i magici cristalli visionari nei segreti cassetti, i nomi e le parole incisi sulle finestre, finestre aperte sulle prospettive più tristi e più dolci; la casa che si deve lasciare, ma portando con sé, forse, tanto della sua luce dolcemente viva e del suo colore! –. Ora diventata una sorta di vestito del corpo, poiché il corpo, secondo Swedenborg, non è che il vestito dell’anima – in tal senso l’intera opera di Rossetti potrebbe essere una Casa della Vita, di cui egli è soltanto l’“Interprete”. Ed è una casa frequentata da fantasmi». In Borges Profesor. Curso de literatura inglesa en la Universidad de Buenos Aires, tradotto col titolo di La biblioteca inglese. Lezioni sulla letteratura, per Einaudi, 2006, Jorge Luis Borges dedica ampio spazio a Rossetti poeta, ritenuto da lui più importante del Rossetti pittore. Alla pagina 250 adotta la traduzione italiana di Maria Teresa Benedetti della lirica rossettiana La beata donzella, istituendo un paragone fra poesia e pittura, in riferimento all’omonimo dipinto rossettiano. Seguono la prima strofa della traduzione e l’immagine del dipinto: «La Beata Donzella si sporse / dal dorato balcone del Cielo; / i suoi occhi erano più profondi / di acque fonde, placate la sera; / tre gigli avea nella mano / e sette eran le stelle nei capelli». Poems Poems and Ballads Rose Mary The White Ship The King’s Tragedy Manus Animam Pinxit St. Agnes of Intercession The Orchard-Pit Dante Gabriel Rossetti Appreciations Perlascura (1871); Oxford, Ashmolean Museum. La beata donzella (1875-1878); Cambridge (Massachusetts), Fogg Art Museum.