Studi e riscoperte 1
JOHANNES ITTEN
E LA TORRE DEL FUOCO
lingue di luce
Rodolfo Papa
Tra il 1919 ed il 1920 Johannes Itten (1888-1967) progetta e realizza la Torre del fuoco, che colloca nel parco di Weimar di fronte al suo atelier, ovvero la cosiddetta Casa dei templari all’interno del campus della Bauhaus. Si tratta di un’opera a metà tra concezione spaziale scultorea ed elemento architettonico. Per molto tempo è stata considerata come un’architettura di avanguardia, il modello imprescindibile per una «nuova costruzione del futuro, la quale sarà in una sola forma: architettura, scultura e pittura»(1). Ed è stata sovente affiancata al progetto del Monumento alla Terza internazionale di Vladimir Tatlin, che avrebbe dovuto essere il monumento e il quartier generale del Comintern a Pietrogrado (l’odierna San Pietroburgo).
Ma per comprendere il significato della Torre del fuoco, dobbiamo partire dalla considerazione del contesto.
Nel 1920 Itten ricevette l’incarico di organizzare un corso di teoria della forma, che ben presto divenne il tirocinio obbligatorio al primo semestre per la selezione degli studenti che chiedevano di frequentare la Bauhaus. Proprio nel 1920, durante l’assemblea dei maestri e degli allievi del 13 ottobre, il direttore della Bauhaus, Walter Gropius, disse che i docenti si sarebbero dovuti principalmente dedicare a un tipo di formazione che creasse negli allievi l’autodisciplina, in attesa che sgorgasse da sé la dimensione artistica: «Dobbiamo lavorare e tacere, senza fissarci su forme rigide, ma rimanendo sempre vitali, sempre disponibili alla crescita»(2). Lo stesso Itten nel suo libro Arte del colore, pubblicato nel 1961, ricorda come questo programma di Gropius(3) concretamente si realizzò nei corsi tenuti dallo stesso Itten, da Paul Klee e da Kandinskij, entrato nel corpo docente nel 1922, con il corso di disegno dal vero. A proposito della idea di arte che gli artisti citati proponevano con questi loro corsi, Itten scrive: «Il fatto [importante è] che nelle scuole d’arte ancora si discuta sull’utilità dello studio dal vero, studio che non dovrebbe venire inteso come la riproduzione di occasionali impressioni derivate dalla natura, ma quale rielaborazione e rappresentazione in base a ricerche analitiche delle forme e dei colori necessari per l’esatta caratterizzazione della realtà. Con uno studio di questo tipo la natura non sarebbe più imitata, ma interpretata»(4).
Con studio analitico della natura, Itten intende rappresentazioni oggettive in pianta e in alzato, che però, se hanno senso in una architettura, ne hanno meno nella rappresentazione di una foglia o di una montagna. Per lui lo scopo ultimo di questo studio dal vero è l’interpretazione della natura. Dunque, tutto oscilla tra la ricerca analitica e l’interpretazione del dato naturale.

