Studi e riscoperte 3
CATERINA, LA MADRE DI LEONARDO
il luogo, forse,
del suo mondo
Carlo Vecce
Una storia meravigliosa, quella di Caterina, la madre di Leonardo. Non può non avere lasciato tracce nella vita e nell’opera del figlio, che ha probabilmente vissuto a Vinci (Firenze) i primi dieci anni della sua vita, con i vecchi nonni e soprattutto con lei, frequentando la sua casa di Campo Zeppi, piena di vita e immersa nella campagna e nella natura.
Il nome di Caterina compare nei suoi manoscritti, tra le preziose note che, come in un diario, ne illuminano la vita intima e quotidiana. Certo, Leonardo non accompagna mai a quel nome l’appellativo “madre”: forse non ha mai potuto farlo, forse gli hanno sempre detto che quella Caterina era solo una serva, la balia che lo aveva allattato. Ma Leonardo era un ragazzino sveglio, e la verità la conosceva bene. Leggiamo così, tra le migliaia e migliaia di carte, il frammento di una lettera in cui il giovane, nel 1478, chiede notizie di lei: «Dimmi come le cose passano di costà, e sappimi dire se la Caterina vuole fare» (Codice atlantico, f. 195r). E poi, quindici anni dopo, la registrazione dell’arrivo della madre, vedova e anziana, a Milano: «A dì 16 di luglio, Caterina venne a dì 16 di luglio 1493» (Codice Forster III, f. 88r); e delle spese sostenute per lei, il 29 gennaio 1494, un paio di calze e un soppanno per il freddo inverno milanese, e un anello di diaspro con una gemma venata come una stella (Codice H, f. 64v). Ma il 24 giugno 1494 Caterina muore, di malaria, e il figlio annota le «spese per la socteratura di Caterina», testimonianza muta del suo immenso dolore (Codice Forster II, f. 64v).
Anche la prima opera del giovane Leonardo a vent’anni, l’Annunciazione, si lega direttamente alla storia di Caterina.
Oggi agli Uffizi, la tavola proviene in realtà dal piccolo convento di San Bartolomeo a Monte Oliveto, poco fuori porta San Frediano (Firenze). Finora non si sapeva nulla delle ragioni e delle modalità della committenza, ma nuovi documenti hanno rivelato che la ricostruzione del convento e della chiesa era stata resa possibile da un importante lascito testamentario, nel 1466, da parte di un vecchio avventuriero fiorentino, Donato di Filippo di Salvestro. Donato è l’antico padrone di Caterina a Venezia, e il testamento è scritto da ser Piero da Vinci, notaio di fiducia di Donato e del convento, e padre di Leonardo. Non è un caso. Il mediatore tra i frati e il giovane pittore è stato ser Piero.
Un dipinto straordinario, l’Annunciazione, anche perché il giovane Leonardo, a differenza di altri pittori, ha portato la scena sacra tutta all’esterno, nell’aria, nella luce, nella natura. Uno spazio aperto, uno spazio di libertà. Al centro del quadro, un paesaggio enigmatico. Perché quella montagna altissima, quasi verticale, sfumata e trasparente, la cui cima emerge oltre le nubi? Perché, ai piedi della montagna, quell’esotica città portuale circondata da mura, fari, torri e torrioni, e quel braccio di mare o estuario di fiume insinuato fra le terre e affollato di imbarcazioni, navi e galee, tracciate con microscopiche pennellate? Si tratta di qualcosa che Leonardo non ha mai visto, ma solo immaginato. Quel paesaggio fantastico è forse la visione del mondo da dove è venuta Caterina: la più alta cima del Caucaso, la montagna sacra del suo popolo, l’Elburz; e la città marina dove lei aveva perso la sua libertà, la colonia veneziana di Tana, l’attuale Azov.
La Vergine dell’Annunciazione è solo la prima variazione del tema dominante della pittura di Leonardo: la Donna, la Madre, e quell’altra Madre di tutti noi che è la Natura. Per Leonardo l’iconografia tradizionale della Vergine col Bambino si trasforma nell’epifania della maternità, nella rappresentazione dell’amore totale tra una madre e la sua creatura. Il Bambino è sempre nudo, vivace, sgusciante, in atto di giocare con un fiore, un fuso o un gatto: e quel bambino è sempre lui, Leonardo. La Vergine ha invece lo sguardo basso, non riesci mai a vederne gli occhi. Qualche volta sorride, qualche volta no, come se conoscesse già la sofferenza, la disperazione, la passione e la croce che attendono entrambi. La relazione tra madre e figlio resta al centro anche di altre opere più complesse. Nell’Adorazione dei magi la Madre mostra con orgoglio il Bambino all’umanità. Nella Vergine delle rocce lo protegge dai pericoli della vita, aiutata da Uriele, l’angelo che accompagna il viandante nel suo cammino. Nella Sant’Anna sembra addirittura sdoppiarsi in due figure quasi identiche.
Una madre è anche la Leda, che genera miracolosamente i suoi quattro gemelli dopo essersi congiunta con un dio trasformato in cigno. E una madre è infine la Gioconda. Nel suo sorriso, l’eco del sorriso di Caterina.



