Camera con vista 

PICCOLE LINGUE MADRI

Luca Antoccia

Premio europeo per la miglior rivelazione cinematografica nel 2022, Nastro d’argento e David di Donatello come miglior opera prima nello stesso anno, presente ora in quasi tutte le principali piattaforme on demand, Piccolo corpo, 2021, è un piccolo caso cinematografico.

La regista, Laura Samani, nata a Trieste nel 1989 e laureata in Discipline delle arti e della comunicazione a Pisa, si diploma al Centro sperimentale di cinematografia di Roma con il corto La santa che dorme, 2016. Piccolo corpo racconta di Agata che, nel suo villaggio, in un’isoletta friulana, si vede negare dal parroco il battesimo alla sua bambina nata morta. La Chiesa, infatti, non può amministrare il sacramento a chi è venuto al mondo senza emettere anche un solo respiro. La ragazza scopre allora la presenza dei cosiddetti “santuari del respiro” dove un miracolo permetterebbe al neonato morto di respirare almeno una volta e di uscire così dalla condizione che, secondo la tradizione cattolica, la priverebbe della possibilità di essere ammessa in paradiso. Questa credenza è attestata su tutto l’arco alpino dall’anno Mille fino a tutto l’Ottocento e il film è ambientato nel 1901.

Quello di Agata è un percorso iniziatico dal mare alla montagna per dare un nome alla bambina e farla uscire dal limbo perché, come dice Agata a Lince: «Se non hai un nome è come se non esistessi». Lince è la strana figura che accompagna la protagonista per buona parte del percorso, un personaggio che sembra uscito da Collodi e insieme modernissimo, tra i più interessanti, con la sua ambivalenza e irriducibilità, nel cinema italiano recente, pari al Lazzaro di Lazzaro felice (Alice Rohrwacher, 2018).

Il percorso ascensionale dal mare all’alta montagna è controbilanciato da un movimento contrario, una discesa agli inferi, come ha dichiarato la regista, in una elaborazione del lutto e della depressione (la bella sequenza dell’attraversamento della buia galleria). Alla fine, non sembra di aver visto un film ma di aver fatto un sogno, tale è la densità di immagini oniriche. Il suono in presa diretta, gli attori non professionisti, l’uso delle lingue “minori” (friulano e sloveno) fanno pensare che c’è anche una questione linguistica che affiora nel miglior cinema italiano degli ultimi anni: Sonetàula (Salvatore Mereu, 2008), il già citato Lazzaro felice, Il buco (Michelangelo Frammartino, 2021), Chiara (Susanna Nicchiarelli, 2022), per citarne solo alcuni. Pescatori friulani e minatori sloveni in Piccolo corpo, pastori sardi in Sonetàula, pastori calabresi nel film Il buco, monaci e monache in Chiara sembrano riannodare il legame tra una terra, una lingua e dei personaggi come dai tempi del neorealismo non accadeva, ma reinventando quella antica lezione nel contesto della nostra attuale globalizzazione.


Un frame da Piccolo corpo (2021), di Laura Samani.