Il confronto con lo spazio, con le smisurate distese della pampa, è un tratto comune e persistente in molti artisti
argentini, dallo “spazialista” Lucio Fontana al concettuale David Lamelas (Buenos Aires, 1946). Uno spazio vissuto fin da subito come immisurabile,
anche nella sua relazione con il tempo come costrutto umano, che dà l’illusione di poter quantificare lo scorrere della vita, perfino in termini
economici, secondo la regola dell’iper-produttività imposta dal capitalismo, che il tempo “esistenziale” lo ha cannibalizzato.
Da questa prospettiva, la ridefinizione del concetto di spazio e tempo ha caratterizzato tutta la ricerca di Lamelas, che, già a partire dal 1969, ha
trovato diversi modi per riappropriarsi di entrambi, in uno stretto connubio tra arte e vita, proprio per sfuggire a costrizioni e cliché
predeterminati. Il tempo, sempre legato allo spazio, è diventato per lui soggetto e medium, fin da quando presentò il suo Time as Activity alla mostra
Prospect ’69, alla Kunsthalle di Düsseldorf. Un lavoro aperto, che da allora ha continuato a modificarsi nel tempo, appunto, diventando il manifesto
della sua poetica.
Si tratta di una serie di registrazioni di situazioni e ambienti urbani dove si intrecciano riprese filmiche, fotografie e testi che si riferiscono, di
volta in volta, a diverse città dove Lamelas ha soggiornato. L’artista mette a confronto due tipi di strutture che normalmente definiscono lo spazio: il
tempo cronologico, come costruzione inventata dall’uomo, accanto a un altro “artefatto”, l’architettura. Ogni città è ripresa in tre punti e momenti
differenti e nel film, prima che venga mostrato il materiale girato, lo spettatore è informato della precisa durata di ciascuno spezzone.
Time as Activity diventa così, a detta dell’artista stesso, un «riflettore di tempo», dove si sovrappongono più temporalità: quella dello scorrere della
vita stessa, quella della registrazione fatta dalla telecamera e quella della visione da parte dello spettatore (ciascuna ha uguale durata). Con ciò
Lamelas intende oltretutto dimostrare che rappresentare la realtà così com’è non è possibile. Dopo Düsseldorf, l’artista ha ripreso, negli anni,
Berlino, Londra, Los Angeles, New York, San Gallo, Buenos Aires, Varsavia, Napoli, Milano, aggiungendo sempre una nuova parte al lavoro. È possibile
dunque considerare Time as Activity un film infinito, così come, da più di quattro decadi, è stato inesauribile lo spostarsi di Lamelas da un luogo
all’altro? L’opera diventa allora metafora del suo stesso viaggiare come bisogno vitale di scoprire sempre nuovi spazi, di non fermarsi mai, dopo aver
lasciato Buenos Aires nel 1968 per Londra; prima tappa di un lungo peregrinare, scelta per completare la sua formazione alla rinomata scuola d’arte
Saint Martin’s.
Come recitano le parole del romanziere sperimentale Frederick Ted Castle (scritte in occasione della personale alla Galerie des Beaux-Arts di Bruxelles
nel 1991), che dell’artista compongono un intenso ritratto: «David Lamelas è un alieno. È reale, ha un passato: è nato da qualche parte, vive da qualche
parte, e ha una storia, ma dovunque egli sia, non è [mai] a casa. È sempre uno straniero tra stranieri».