«Qualche volta il destino somiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso [...]
Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra con il dio della morte prima dell’alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da
lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando
dritto, e chiudendo forte gli occhi per non fare entrare la sabbia».
(Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia).
Delle forze naturali il vento è la più enigmatica. Invisibile; eppure, impossibile da ignorare, può alludere a moltissimi stati d’animo, sentimenti,
pensieri fino a diventarne la metafora per eccellenza, una presenza iconografica in arte e letteratura, distribuita, nel corso dei secoli, tra destino,
religione, natura e amore. Amore, passione, vento: fu Saffo, poetessa di Lesbo (fine VII secolo - prima metà del VI secolo a.C.), la prima a cantare
l’interiorità, la forza dell’amore, la violenza della passione paragonata al vento: «Eros mi ha scosso la mente / come il vento che colpisce gli alberi
dal monte» (frammento 47).
Nel tempo, il forte legame tra amore e passione si è allargato alla sfera dell’irrazionale, della follia, del furore divenendo fonte d’ispirazione per
poeti e artisti che ne sono stati così affascinati da creare immagini potenti, destinate a restare nella memoria culturale di ogni tempo. Gustave Doré,
pittore e incisore francese del XIX secolo, illustrò l’Inferno della Divina commedia e tra le sue figure più suggestive e quasi oniriche s’impongono le
anime famose di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini: il corpo di Francesca è nudo e sensuale, centrale nel suo biancore, appoggiato alla figura di
Paolo che rimane oscuro ma avvolgente, quasi in atto di protezione. Come si legge nel canto V, i due si completano in una figura unica, a sottolineare
l’amore profondo che ancora li lega: «Peccatori carnali / che la ragion sommettono al talento» (vv. 38-39), sono adesso trascinati violentemente da un
vento tempestoso come nella vita lo sono stati dalla follia d’amore, e Dante chiede a Virgilio di poter parlare proprio a loro, «a quei due che ‘nsieme
vanno, / e paion sì al vento esser leggeri» (vv. 74-75).