FINESTRE SULL'ARTE

Il MAGA?
Una fabbrica culturale

Già presidente del MAGA - Museo d’arte Gallarate nel 2010, Angelo Crespi ricopre qui lo stesso ruolo da fine febbraio. Lo abbiamo intervistato per scoprire cosa è cambiato da allora e i progetti futuri

Federico D. Giannini

Com’era la situazione al MAGA di Gallarate quando è stato nominato presidente?
Ottima, dal punto di vista sia economico sia culturale. Il merito va alla precedente presidente, Sandrina Bandera, una delle grandi sovrintendenti italiane, che ha avuto l’onore di gestire musei straordinari come la Pinacoteca di Brera a Milano. E alla direttrice Emma Zanella (e al suo staff), che da vent’anni gestisce il museo, prima galleria civica [la sua istituzione risale ufficialmente al 1966 ma la sua storia si intreccia già con il Premio Gallarate fondato nel 1949] e, dal 2010, fondazione di partecipazione. Peraltro, da un paio di anni sono rientrato nel consiglio di gestione del MAGA seguendo da vicino la programmazione e i bilanci.

 
Lei era già stato presidente del museo in passato: sono trascorsi più di dieci anni da allora. Com’è cambiato il mondo dei musei di arte contemporanea?
Sembra quasi trascorsa un’era geologica. Nel 2010, quando è stata costituita la fondazione intitolata a Silvio Zanella, l’obiettivo principale era ancora conservare e mostrare. Oggi si aggiungono altre funzioni che rendono specialmente il museo di arte contemporanea una sorta di fabbrica culturale. Questa metamorfosi coincide anche con le modifiche della governance nei musei, perfino di quelli statali che, in molti casi, a seguito delle recenti riforme sono diventati poli autonomi; più indipendenza a fronte di una maggior capacità di attrarre fondi privati e aumentare la progettazione legata a bandi nazionali ed europei. Attenzione all’economia, dunque, ma anche alla responsabilità sociale del museo nei confronti di soci pubblici, “stakeholder” privati e pubblico. Da anni, per esempio, il MAGA si è specializzato in attività educative, formative, culturali e ha istituito al suo interno una biblioteca pubblica.

Quali sono a suo avviso le tre priorità su cui deve lavorare il MAGA nell’immediato futuro?
Stiamo lavorando affinché il MAGA sia riconosciuto come il più importante Centro per l’arte contemporanea italiana, scopo, peraltro, dal quale nel dopoguerra principia la nostra collezione. Tra le prospettive più immediate c’è l’idea di costituire un Centro di ricerca per le arti visive e performative.

 
Può anticiparci i prossimi eventi o le prossime mostre?
In autunno è prevista un’importante mostra dedicata a Dadamaino (Edoarda Emilia Maino), artista italiana che ancora non ha avuto definitiva consacrazione, nonostante siano ormai passati quasi venti anni dalla morte. Nello stesso periodo, esporremo una serie di lavori inediti di Michele Ciacciofera, oggi forse l’artista italiano più riconosciuto a livello internazionale. Stiamo inoltre lavorando per il 2024 sulla grande mostra Arte è design, firmata da Philippe Daverio [direttore di “Art e Dossier” dal 2008 fino alla sua scomparsa il 2 settembre 2020] e mai realizzata. Un’opportunità che ci permette di rendere omaggio al pensiero e all’intuito di Daverio e, allo stesso tempo, mostrare la relazione che a partire dal secondo dopoguerra ha unito la progettazione artistica e quella legata al design.