Com’è noto, in meno di cento anni, dal 1428 al 1521, gli aztechi riuscirono a creare un grande impero anche grazie a una politica espansionistica aggressiva e militarista. Nonostante spesso si tenda erroneamente a ingigantirne gli aspetti sanguinosi, è tuttavia evidente che nella società azteca la guerra e i guerrieri avevano un ruolo centrale. In particolare, le “anime” di coloro che morivano in battaglia vivevano nella Casa del Sole e quando ogni mattina l’astro usciva dalle fauci della terra lo festeggiavano e lo accompagnavano fino a mezzogiorno. Dato che i guerrieri erano giovani maschi, non stupisce che, anche per questo, la società azteca fosse caratterizzata da una netta dominanza maschile.
In questo contesto, tuttavia, è doveroso mettere in evidenza che anche alle donne venivano riconosciuti ruoli importanti nell’immaginario
religioso e nella vita quotidiana. Potremmo dire che si ha quasi l’impressione che anche nella società azteca ci fossero gruppi di femministe che,
giustamente e puntigliosamente, pretendevano una certa parità di genere. Un aspetto molto importante di questa parità è quello della divinizzazione
delle donne morte di parto, un tratto culturale che gli aztechi, forse, avevano preso dalla cultura Veracruz. Queste donne, infatti, erano chiamate
“Cihuateteo” (plurale di “Cihuateotl”, ovvero Donna sacra, Donna dea) ed erano equiparate ai guerrieri caduti in battaglia. Il loro ruolo nella società
azteca è messo in evidenza da Bernardino de Sahagún nel Codice fiorentino, la più importante fonte sulla cultura azteca, a partire dal libro primo, dove
le donne sono presentate in una posizione centrale accanto alle divinità vere e proprie.