DUFF A VENEZIA

UN CALEIDOSCOPIO DI LUCI

The Human Safety Net, fondazione filantropica presente nel complesso delle Procuratie vecchie, ospita fino a metà aprile del prossimo anno un’installazione di Arthur Duff altamente tecnologica

Sileno Salvagnini

QQuando il “proto” (architetto) Bartolomeo Bon dal 1516 al 1529 – anno della sua morte – e il suo successore Jacopo Sansovino (soprattutto), giunto da Roma dopo le devastazioni del Sacco del 1527, diedero vita allo straordinario edificio delle Procuratie vecchie di piazza San Marco, avevano in mente di fare del microcosmo della piazza una sorta di esempio di quello che avrebbe dovuto essere la città come macrocosmo: un luogo classico per eccellenza, pensato secondo i canoni di Vitruvio e di Leon Battista Alberti; e civile, oserei dire popolare, capace di interessare tutta la piazza con una lunga serie di quinte porticate. Un edificio per i procuratori, speciale magistratura veneziana che aveva l’obbligo di stabilirsi in città in appartamenti uguali fra loro. La regola egualitaria e a un tempo classica pare riecheggiare nello spirito dello splendido progetto di restauro di David Chipperfield, terminato l’anno scorso e voluto dalle Assicurazioni generali, che da poche stanze prese in affitto nel 1832, sono progressivamente divenute proprietarie dell’intera struttura.

All’interno delle Procuratie, troviamo The Human Safety Net, fondazione filantropica impegnata da più di cinque anni in ventiquattro paesi, dall’Europa all’Asia, all’America Latina per aiutare le persone in situazioni critiche. Un luogo che contiene, a sua volta, un’area di sperimentazione, l’Art Studio, curato da Luca Massimo Barbero. Qui sono proposte opere di artisti attenti ai programmi e agli obiettivi di The Human Safety Net e in linea con il percorso espositivo permanente A World of Potential. La prima installazione in mostra, sempre a cura di Barbero, è The Hungriest Eye. The Blossoming of Potential dell’americano – ma italiano di adozione – Arthur Duff.


Visibile fino al 15 aprile 2024, l’opera è composta da dispositivi digitali, con i quali persone di tutte le età possono dialogare per scoprire il loro potenziale e i loro punti di forza. Il risultato di questa comunicazione virtuale è poi restituito attraverso un sistema di sofisticati laser: un caleidoscopio di luci diverse, in base all’esperienza di ciascun visitatore. L’idea di Duff porta alle estreme conseguenze ciò che la psicologia della Gestalt negli anni Cinquanta chiamava The Creative Eye, diventata già con le nuove tecnologie nel decennio successivo The Responsive Eye, e oggi, all’epoca dell’intelligenza artificiale, The Hungriest Eye. Una sorta di utopia, come se vi fossero “due” artisti: uno, il pubblico, moltiplicato n volte; l’altro, Duff, che gli dà la voce. Da notare, infine, che l’artista è stato ispirato da un catalogo illustrato di fuochi d’artificio realizzato da una serie di xilografie del 1883 del giapponese Jinta Hirayama. Un ponte ulteriore fra culture in una città cosmopolita come Venezia.