IL GUSTO DELL'ARTE

Bianchi o neri,
ma sempre dono
degli dèi

ALLA RICERCA DI PREPARAZIONI ALIMENTARI E PRODOTTI CHE TROVANO NELL’ARTE PUNTUALI RIFERIMENTI, AL DI LÀ DI EPOCHE, LUOGHI E TRADIZIONI: TARTUFO

LUDOVICA SEBREGONDI

Bianco o nero, il tartufo è circondato da un’aura di mistero che ha attirato l’attenzione fin da tempi antichi anche per l’incertezza che ne circondava la formazione: così, secondo Plutarco la nascita del prezioso tubero era legata all’azione combinata dell’acqua, del calore e di un fulmine scagliato da Giove. Prodotto alimentare tra i più costosi per la sua rarità e per le difficoltà legate alla ricerca, essendo il suo ciclo vitale interamente sotterraneo, il tartufo è sempre stato amato da gastronomi e buongustai come quintessenza di raffinatezza e unicità grazie al suo aroma inconfondibile e penetrante. È anche simbolo di voluttà, cibo afrodisiaco ritenuto capace di risvegliare sensi sopiti, tanto che Pellegrino Artusi, nella Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, maliziosamente annota: «A tutti è nota la natura calida di questo cibo, quindi mi astengo dal parlarne perché potrei dirne delle graziose». Sono soprattutto le gastronomie ottocentesche francese e italiana a elargirne ricette, e un piatto di pasta con tartufi portò alla rottura dell’amicizia tra due famosi gastronomi-artisti: il letterato Alexandre Dumas e il musicista Gioachino Rossini.

Rossini si faceva inviare a Bologna i tartufi da Acqualagna (Pesaro e Urbino), ed effettivamente i marchigiani sono tra i più rinomati in Italia, accanto ai pregiatissimi piemontesi di Alba, a quelli di San Miniato in Toscana, di Norcia in Umbria. Proprio dalle Marche, dal feudo di “Castel Leone” (Castelleone di Suasa di cui era all’epoca assegnatario), il cardinale Francesco Maria de’ Medici inviò nell’autunno 1706 in dono al fratello, Cosimo III di Toscana, un tartufo nero gigantesco, del peso di quattro libbre e mezzo, cioè circa un chilo e mezzo. Il granduca, grande appassionato delle diverse manifestazioni ed eccentricità della natura, le faceva riprodurre dal pittore Bartolomeo Bimbi (Settignano, Firenze 1648 - Firenze 1729). Il grande tubero viene offerto alla vista intero, in un piatto metallico appoggiato su un morbido tessuto rosso, che ferma un cartiglio il cui testo ricorda il rinvenimento dello «smisurato Tartufo […] gran massa di materia», giustificandone l’inconsueta morfologia («non […] uniforme, tenera e pastosa siccome è quella di tartufi ordinari, ma tutta ineguale, terrea, traforata») con la sua antichità. Lo stesso tubero è raffigurato accanto diviso a metà per mostrarne la struttura. Come sempre, i dipinti di Bimbi destinati alla raccolta di carattere scientifico di Cosimo mostrano i soggetti nelle dimensioni reali: le misure della tela – 89 x 121,5 cm – rendono evidenti l’inconsueto volume del tartufo, esibito in un contesto aulico adeguato al prodotto, lambito com’è da un cortinaggio azzurro.