CATALOGHI E LIBRI OTTOBRE 2023 L’ESPERIENZA MEDIEVALE DELL’ARTE GLI OGGETTI E I SENSI Herbert Kessler è fra i più interessanti storici dell’arte del Medioevo, non solo della sua generazione. Nato a Chicago nel 1941, allievo di Erwin Panofsky (di cui ricordiamo almeno Rinascimento e Rinascenze e La prospettiva come forma simbolica), e di Kurt Weitzmann (magistrali i suoi studi su codici e avori), Kessler ha insegnato in prestigiose università di qua e di là dall’Atlantico. In anni recenti rammento la sua presenza a quella aggiornata fucina di ricerche che è il Centre of Early Medieval Studies dell’Università di Brno nella Repubblica Ceca, diretto da Ivan Folletti. Le indagini dello studioso statunitense, cittadino del mondo e poliglotta, hanno segnato una svolta nella storiografia dell’Occidente cristiano e della cultura bizantina. I suoi saggi non parlano in modo preminente di scuole, stili, processi evolutivi che una tradizione storiografica ha tentato d’individuare in un’ampia area, unificata dalla spiritualità e nel contempo diversificata da un immaginario visivo senza precedenti per “varietas” e fantasia. Kessler non fa distinzioni di discipline, per quanto ben le conosca nelle sue peculiarità né gli interessa la microfilologia. Se ne trova conferma nel suo recente capolavoro di erudizione e di acute osservazioni, Experiencing Medieval Art (Toronto 2019). D’accordo con lui, due più giovani studiosi italiani, Fabrizio Lollini e Giacomo Confortin, curatori e traduttori di questa edizione, hanno operato una sottile, convincente distinzione rispetto al titolo inglese. Non più: “L’esperienza dell’arte medievale”, bensì “L’esperienza medievale dell’arte”, con un sottotitolo illuminante – Gli oggetti e i sensi –, buon viatico alla comprensione di una materia ancora fra le meno seguite, almeno in Italia, nell’insegnamento accademico, soprattutto per l’arte bizantina e i secoli XI e XII, fra le epoche più sorprendenti dell’arte di tutti i tempi. I nove capitoli del libro, che auguro vengano letti anche da chi non sia avvezzo a questi temi – “Oggetto”, “Materia”, “Creazione”, “Spirito”, “Libro”, “Chiesa”, “Vita” e “Morte”, “Performance”, “Soggetto”, e il folgorante epilogo – esaminano una serie di opere, dalla tarda antichità al Trecento, con un approccio generale ma mai generico. La serie di rimandi è di varia natura. Kessler parte dall’indagine su singoli “oggetti”, non sempre e non forzatamente mobili (un avorio, un intarsio cosmatesco, una croce dipinta o scolpita, un affresco, lo spazio “spirituale” di una chiesa), con un approccio non circoscritto a distinzioni cronologiche, stilistiche, tecniche. Non ricostruisce l’immaginario medievale esclusivamente con i metodi tradizionali dell’iconografia e dell’iconologia, ma nella sostanza valuta, secondo la New Art History, la ricezione di un’opera secondo un’articolata pluralità di tematiche, compreso il reimpiego di materiali (“spolia”) a fini emblematici e non solo economici, che i traduttori chiamano qui “riciclaggio” (preferiremmo “riciclo”). È un metodo simile, ma più ampio e non solo in ambito sociale, all’approccio di Michael Baxandall alla cultura umanistica (Giotto and the Orators, 1971). È impossibile anche solo sintetizzare gli intrecci di questo libro affascinante, che dovrebbero leggere anche studiosi di altri periodi. In una impareggiabile sequela di ragionamenti e riferimenti, Kessler, attento anche al contemporaneo, giunge fino ad artisti e fotografi di oggi, come Andres Serrano e George Tatge (quest’ultimo a lungo art director a Firenze della Fratelli Alinari) che in tempi recenti hanno avuto un approccio all’immagine simile a quello degli artefici medievali, inducendo a percezioni simili a quelle di uno spettatore dell’epoca. Tradurre non deve esser stato semplice e certo Kessler, che ben conosce l’italiano, l’avrà apprezzato. Per un apparato iconografico più esaustivo e tutto a colori, l’edizione italiana è inoltre indispensabile anche per chi abbia studiato su quella inglese. Un plauso anche a Officina Libraria, coraggioso e benemerito editore. Herbert L. Kessler, traduzione e cura Giacomo Confortin e Fabrizio Lollini Officina Libraria, Roma 2023 336 pp., 81 tavv. colore, € 35 BONA DE MANDIARGUES RIFARE IL MONDO Si parla e si scrive sempre più spesso di arte al femminile, soprattutto nella pittura del Novecento, mentre un discorso paritetico fra donne e uomini nell’arte del nostro secolo mi pare già assodato, almeno in parte. Alle numerose donne artiste del XXI secolo, in tutto il mondo, hanno fatto da apripista figure formidabili come Frida Kahlo, Georgia O’ Keeffe, ma anche Antonietta Raphaël e Leonor Fini, e mi piace rammentare, a proposito dell’artista triestina, gli studi bellissimi di Corrado Premuda, scomparso precocemente nell’estate del 2022. Se sono da tempo ben indagate le vicende di alcune artiste fedeli al credo del surrealismo – Leonora Carrington, Meret Oppenheim, Dorothea Tanning, Dora Maar –, finora sconosciuta, almeno al grande pubblico, è stata l’avventura artistica e umana di Bona de Mandiargues (Roma 12 settembre 1926 - Parigi 25 agosto 2000). Nipote per parte di padre di Filippo de Pisis (il cognome da ragazza è Tibertelli de Pisis), Bona inizia la sua attività sulla scia del celebre zio, con cui, dopo la morte del padre, si trasferisce nel 1945 a Venezia e infine a Parigi. Qui conosce quel raffinato scrittore e drammaturgo, vicino ai surrealisti e non solo, che fu André Pieyre de Mandiargues, che sposa nel 1950, il quale a sua volta era stato legato a Leonor Fini, e con lei immortalato in memorabili nudi marini di Henri Cartier Bresson. André introdusse la moglie nel mondo di poeti, scrittori, artisti e fotografi legati al surrealismo. La bellissima Bona, però, non fu solo autrice e inventrice di un originale immaginario di quadri surrealisti, ma anche attrice di grande fascino e passioni vertiginose. Rispetto ad altre sue colleghe si distanziò tuttavia dai “topoi”, cari al surrealismo, della donna-bambina e della donnamusa. I suoi dipinti, in mostra alla prima grande retrospettiva italiana a Orani (Nuoro), nel museo Costantino Nivola (fino al 4 febbraio 2024) sono oggetto di un’indagine esaustiva nel libro-catalogo edito da Allemandi. Nel secondo dopoguerra la sua è una ricerca da lei definita alchemica, orientata a immagini metamorfiche e al totemismo animale. Bona si identifica non a caso nella lumaca, essere ambivalente perché ermafrodita, emblema di forme androgine e contorte. Interessanti e ben scritti i saggi del libro, di vari autori, che si avvalgono di ricerche archivistiche e indugiano sui numerosi viaggi dell’artista (come quelli in Messico e nell’Alto Egitto), per risalire alle radici di temi come l’occulto, l’erotismo, il ritratto e l’autoritratto, mediati nei suoi dipinti dalla trasformazione della figura in frammenti. a cura di Giuliana Altea e Antonella Camarda Allemandi, Torino 2023 80 pp., 39 ill. colore, 1 b.n. € 25 HOMO IMAGINIFICUS SOGNI E VISIONI NELLA STORIA DELL’ARTE DAL PALEOLITICO SUPERIORE AL RINASCIMENTO Marco Paoli, già funzionario e poi dirigente del Ministero della cultura, nel corso della sua carriera ha fondato importanti riviste, tuttora attive, come “Rara Volumina”, che ha creato e dirige dal 1994, e “Digitalia. Rivista del Digitale dei Beni culturali”, nata nel 2005. Non solo, negli ultimi decenni si è dedicato a una serie di studi, con aperture particolarmente originali, su alcuni momenti chiave della storia della pittura occidentale, dei quali non abbiamo mancato di parlare più di una volta in questa rubrica, a partire dallo studio sul dipinto enigmatico di Jan van Eyck con una coppia in una camera da letto densa di simboli, nel quale egli nega l’identificazione dei due personaggi raffigurati nei coniugi Arnolfini, lucchesi di stanza a Bruges (Jan van Eyck alla conquista della rosa, Pacini Fazzi, Lucca 2010) tesi che ha suscitato un ampio dibattito. Si è anche dedicato al dipinto più controverso della pittura del Cinquecento, La tempesta di Giorgione (La tempesta svelata, Pacini Fazzi, Lucca 2011, tesi che è stata molto dibattuta), e infine al misterioso dipinto di Dosso Dossi Il sogno di Giove (Pacini Fazzi, Lucca 2013). In quell’ultimo saggio il tema era focalizzato su argomenti onirici, e il sogno negli anni è diventato per Paoli l’oggetto portante di una sua ricerca mastodontica che vede oggi un primo esito (sono certa, conoscendo la passione dello studioso, che ne scriverà ancora). L’argomento si estende dalla raffigurazione del sogno e del sonno nella storia dell’arte alla raffigurazione della visione, se è lecito definire così l’immaginario figurativo di un tema metafisico. Si tratta di un tema vastissimo, come confermano, in fondo a questo imponente volume, due corposi indici, rispettivamente delle visioni (e delle esperienze uditive) e dei sogni, oltre a una utile lista dei dormienti, che sono non solo personaggi della cristianità, ma anche della mitologia. Impensabile anche solo sintetizzare i contenuti di un libro che occorre leggere con molta attenzione, e che ripercorre la storia dell’umanità dal Paleolitico al Rinascimento. Per quanto riguarda il Paleolitico, il discorso è giocoforza più complesso di quanto non possa essere contenuto nelle venti pagine del primo capitolo. Il dibattito sulla nascita e sui significati dell’arte figurativa non solo parietale, ma soprattutto tridimensionale, che pare la più antica, è ancora in corso. Resta un’ipotesi suggestiva quella qui proposta, di un immaginario legato al sogno. Marco Paoli Accademia Lucchese di Scienze Lettere e Arti/ Pacini Fazzi, Lucca 2023 576 pp., centinaia di ill. b.n. € 50