Furono anni di estreme difficoltà, ma anche, come spesso accade, di profonde trasformazioni e dunque di nuove opportunità che aprirono a una stagione artistica e culturale non meno intensa della precedente.
L’emblematico passaggio di testimone, per quanto riguarda le vicende figurative, è rappresentato dall’ultima opera di Vincenzo Foppa, lo Stendardo di Orzinuovi della Pinacoteca Tosio Martinengo (1514), lascito supremo con il quale l’anziano maestro, prossimo alla morte, indicava la via in favore delle generazioni a venire. È in questo periodo, dunque, che Moretto intraprese i primi passi nella professione di pittore, eseguendo, secondo le fonti nel 1514, un perduto ciclo di affreschi nella chiesa cittadina del monastero di Santa Croce. In un atto notarile risalente al novembre dello stesso anno l’artista veniva menzionato in qualità di curatore testamentario, segno che all’epoca era già emancipato, sebbene è possibile che, a causa della prematura scomparsa del padre, la maggiore età gli fosse stata concessa in anticipo rispetto a quella solitamente prevista (a diciott’anni anziché ventiquattro). La data di nascita di Alessandro va perciò collocata, per via induttiva, attorno al 1496 o al massimo poco prima.
La lunetta con l’Incoronazione della Vergine, nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Brescia, costituisce probabilmente una primizia assoluta all’interno del suo catalogo. Si tratta infatti di un’opera che presenta, sia pur in nuce, elementi che preludono a un grande futuro: si vedano in particolare i profili dei due canonici ai lati della tela, che già precorrono, nell’acuta indagine naturalistica dei volti, gli straordinari risultati raggiunti in questo ambito dal pittore nei decenni successivi. Nei panneggi ampi e un po’ geometrici delle figure al centro, nonché nel vivace senso del colore, di lontana memoria belliniana, si può invece riconoscere l’ascendente esercitato da Girolamo Romanino, l’altro grande protagonista del primo Cinquecento a Brescia. Con il suo precoce aggiornamento sulle novità di Giorgione, Dürer e Tiziano, avvenuto in occasione di una trasferta a Padova compiuta nel 1513, Romanino fornì un esempio decisivo per il più giovane Moretto, al punto da suggerire che quest’ultimo avesse intrapreso, al seguito del collega, la medesima traiettoria di viaggio verso la laguna. Non si dispone di documenti a supporto di questa ipotesi, anche se i dati di stile riscontrabili nelle opere successive lasciano ben pochi margini di dubbio rispetto al fatto che, sin dagli inizi, il Bonvicino guardò con interesse, e con una innata capacità di giudizio, alla pittura veneziana.
L’impresa più significativa di questo periodo è la decorazione delle ante d’organo del Duomo vecchio di Brescia. Tale commissione, affidata a Moretto e al meno celere Floriano Ferramola nell’agosto del 1515, maturò durante una fase delicata della città, culminata, un anno più tardi, con il ritorno di Brescia nella sfera d’influenza, politica e amministrativa, della Repubblica di Venezia. È proprio nell’ottica di sublimazione dei valori civici e “patriottici” che va intesa, dunque, la straordinaria rilevanza assegnata ai santi patroni Faustino e Giovita, effigiati in forme monumentali sul lato interno delle ante. Queste ultime segnano un vertice nella produzione d’esordio del pittore e attestano, di nuovo, la stringente adesione ai modi di Romanino, evidente soprattutto nell’irrequietezza delle pose dei santi cavalieri, contenuti a fatica sotto le arcate dipinte. Sembra inoltre confermarlo la smagliante qualità cromatica delle vesti e del fondo, che richiama quella della Pala di santa Giustina a Padova e sembra tener conto, al tempo stesso, dei risultati raggiunti dal veneziano Lorenzo Lotto a Bergamo: elementi sufficienti a tratteggiare, per il Moretto di questo tempo, il profilo di un maestro curiosamente allineato a quella stessa cultura eccentrica che, nel secondo decennio del secolo, permeava altri centri padani come Bologna, Ferrara e Cremona.

