IL CLASSICISMO
DI MORETTO

All’inizio del terzo decennio del secolo Moretto e Romanino si trovarono impegnati, l’uno a fianco dell’altro, nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Brescia per realizzare il celebre insieme di tele della cappella del Santissimo Sacramento.

Filippo Piazza

L’incarico, avviato nel marzo 1521, comportava indubbia responsabilità: i dipinti, infatti, avrebbero dovuto veicolare, con la massima efficacia illustrativa e senza alcun margine di errore, il messaggio propugnato dai confratelli laici della Scuola del Sacramento, incentrato sulla difesa del dogma eucaristico e sull’affermazione del valore sacramentale della messa. In tal senso si giustifica la scelta dei soggetti, incentrati attorno alla Deposizione di Cristo di Bernardo Zenale, posizionata al centro della cappella da oltre un decennio. Le opere di Moretto e Romanino avrebbero dovuto soffermarsi su alcuni momenti emblematici della storia biblica ed evangelica (La caduta della manna, Elia svegliato dall’angelo, La resurrezione di Lazzaro, La cena in casa del fariseo), connessi a vario titolo con la prefigurazione del tema eucaristico, quest’ultimo reso ancor più esplicito dai Profeti nei sottarchi e dalle lunette con l’Ultima cena e con il Miracolo del Sacramento.

I pittori si spartirono equamente il lavoro, occupandosi l’uno delle tele nella parte “a sera” della cappella, l’altro di quelle “a mane”: trovarli qui appaiati, in un dialogo serrato, dimostra l’intelligenza dei massari della Scuola, i quali colsero le potenzialità di istituire un confronto tra linguaggi artistici divergenti. La suddivisione del lavoro sembra infatti tenesse conto dell’indole, per certi versi antitetica, dei due: a Romanino, il cui stile si caratterizzava per una graffiante vena anticlassica, spettarono le scene evangeliche, vicine alla cupa sensibilità contemporanea, mentre Moretto, con la sua pittura intonata su un registro aulico e compassato, si occupò – a eccezione dell’Ultima cena nella lunetta superiore – delle scene veterotestamentarie, relative a episodi lontani nel tempo e dunque di minor impatto emotivo.

L’esegesi critica del ciclo di San Giovanni Evangelista è stata a lungo viziata da un’errata valutazione cronologica di tale intervento: la notizia fornita dal contratto, che prevedeva di concludere l’incarico entro i tre anni successivi al 1521, insieme all’identificazione dei pagamenti ai pittori, erogati nel 1524, aveva spinto a ritenere che l’intero lavoro fosse stato concluso in questo lasso di tempo. In realtà in tre anni vennero portati a termine soltanto alcuni settori della cappella corrispondenti alle tele della parte alta, mentre gli otto dipinti della zona inferiore sarebbero stati approntati soltanto a due decenni di distanza. Le prime opere eseguite furono l’Ultima cena e il Miracolo del Sacramento. Nell’Ultima cena il tono generale è caratterizzato da un’atmosfera distesa, favorita dal fatto che Moretto, pur tenendo conto della tensione drammatica dell’episodio, scelse di raffigurare il momento di intima confidenza tra Giovanni e Gesù invece di puntare, come nel Cenacolo di Leonardo in Santa Maria delle Grazie a Milano (1494-1498), sull’indagine delle reazioni espressive degli apostoli. Il murale leonardesco, a ogni modo, costituì un riferimento imprescindibile per il maestro bresciano, apprezzabile soprattutto nella misurata distribuzione della luce contraddistinta da un taglio laterale che mette in evidenza i singoli dettagli della tavola imbandita. Nel Miracolo del Sacramento Romanino restò suggestionato dal classicismo del Bonvicino, rispondendo a tale sollecitazione con una scena che, a buon diritto, va considerata tra le più solenni e composte all’interno del suo catalogo. Il confronto tra i due, avviato nelle lunette, si serra ancor di più nei Profeti dei sottarchi laterali, distribuiti sei per parte: la vicinanza stilistica è prova di un comune sentire e di scelte di campo affini, che, per il tramite della fondamentale lezione impartita da Pordenone negli affreschi del duomo di Cremona, riconducono sino alla scoperta degli Ignudi michelangioleschi della Sistina (1508-1512), come attesta la muscolatura accentuata delle figure, spesso còlte in torsione.


Madonna con il Bambino in gloria e san Giovannino con i santi Benedetto, Paterio, Eufemia e Giustina (Pala di sant’Eufemia) (1527 circa), particolare; Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo (proprietà della parrocchia di Sant'Afra, Brescia).


Ultima cena (1521-1524); Brescia, San Giovanni Evangelista, cappella del Santissimo Sacramento.


Girolamo Romani detto il Romanino, Miracolo del Sacramento (1521-1524); Brescia, San Giovanni Evangelista, cappella del Santissimo Sacramento.