Entrando nella prima sala riservata alle esposizioni temporanee della Fondazione Magnani- Rocca si può provare un senso di disorientamento e può sorgere addirittura il pensiero: «Ma avrò sbagliato mostra?». Niente paura, il posto è quello giusto e le opere appese alle pareti o custodite nelle vetrine sono proprio di Umberto Boccioni. Ed è normale che generino una certa sorpresa, dal momento che il progetto espositivo intende far conoscere a un vasto pubblico un Boccioni meno noto che, nel periodo antecedente il 1910 – nella primavera di quell’anno fu infatti tra i firmatari del primo Manifesto dei pittori futuristi – ha vissuto una stagione di formazione e, spinto da moventi soprattutto economici, ha collaborato a lungo con riviste ed editori realizzando numerose illustrazioni. Queste ultime, insieme alla produzione grafica del celebre esponente del futurismo, sono oggetto di recenti ricerche ed è forse la prima volta che ne viene esposta una così ampia selezione, peraltro accostandola ai modelli di riferimento. Trasferitosi a Roma nel 1899, l’artista tentò invano la carriera di giornalista, attirato dal periodico “Fanfulla”, per poi entrare in contatto con altre realtà editoriali.
Cominciò così a produrre i suoi primi “contenuti visivi” e, come si evince subito osservando le tempere su cartoncino, le illustrazioni romane di Boccioni risultano molto vicine a quelle europee che erano allora assai di moda. Gli veniva infatti chiesto di copiare fedelmente i modelli degli inglesi Cecil Aldin e John Hassall, del francese Harry Eliott, del belga Henri Cassiers: ecco allora le scene di caccia alla volpe o quelle con i fantini, o ancora i personaggi folkloristici interpretati in costume ciociaro o in abiti olandesi.