Venezia, inizio estate dell’anno 1600, tra giugno e luglio. È la prima volta in Italia per il pittore fiammingo, che proprio in quei giorni compie ventitre anni. Pieter Paul Rubens ha appena il tempo di riempirsi gli occhi di Tiziano e Tintoretto che in agosto è già a Mantova, alla corte di Vincenzo Gonzaga. Lì incontra le opere di Giulio Romano e Mantegna, altri Tiziano, esempi di scultura antica. Il giovane Rubens è un uomo colto, conosce il latino e il greco, ma è la pittura di Giulio Romano a rivestire per la prima volta di immagini e colori i miti classici che fino allora aveva assorbito con la lettura e attraverso le incisioni che circolavano nella sua Anversa. Il confronto diretto con Raffaello e Michelangelo e con la statuaria antica avverrà dopo, a Roma.
Le mostre di Mantova – in due sedi, palazzo Te e Palazzo ducale – si incentrano sull’importanza dell’incontro con la pittura di Giulio
Romano come occasione, per Rubens, di accedere a una grammatica interpretativa di Raffaello e Michelangelo, e per loro tramite dell’antico; un abbozzo
di vocabolario formale che farà proprio e lo porterà a prefigurare il linguaggio più tipico del Barocco.
A Mantova Rubens trova anche materiali dell’atelier e dell’abitazione di Giulio e dei suoi allievi: disegni e bozzetti che, come tramandano le fonti, tende a «ritoccare», più che copiare, trasformandoli e adattandoli al proprio gusto. Compra disegni di vari autori: li utilizzerà per le sue sperimentazioni e li terrà con sé a lungo, passandoli poi ai propri allievi e collaboratori. Si manifesta così un’inclinazione “interventista” che sarà la sua cifra in tutte le circostanze in cui interagirà con modelli, tendenze, stili, soggetti un po’ ovunque, in Europa. La sua casa di Anversa (oggi museo) risentirà molto, nella struttura e nel rapporto fra corpi di fabbrica, loggiati e giardini, di quanto vide a Mantova, nel palazzo che sorge sull’isola del Te e ne prende il nome.