FINESTRE SULL’ARTE

La mano è del Merisi?

DOPO UN ACCURATO RESTAURO UNA VERSIONE DELLA PRESA DI CRISTO, IN MOSTRA AL PALAZZO CHIGI DI ARICCIA (ROMA), SEMBREREBBE UN CARAVAGGIO

Federico D. Giannini

La grande Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi che si tenne nel 1951 a Milano, tra le mura di Palazzo reale, organizzata da Roberto Longhi, è considerata uno dei punti fermi del percorso di riscoperta della figura di Caravaggio. In quell’occasione, tra le varie opere, venne esposta una versione della Presa di Cristo il cui esemplare più famoso è quello ritrovato nel 1990 da Sergio Benedetti e oggi esposto alla National Gallery of Ireland di Dublino, identificato come quello che Caravaggio dipinse a Roma per Ciriaco Mattei nel 1602. Oggi l’opera che fu esposta alla mostra del 1951 torna, dopo oltre settant’anni, nelle sale di un museo: è infatti al centro di un focus intitolato La Presa di Cristo di Caravaggio dalla collezione Ruffo, a cura di Francesco Petrucci, in mostra presso il palazzo Chigi di Ariccia (Roma). Il dipinto è esposto a seguito di un restauro e di alcune indagini diagnostiche che, spiegano gli organizzatori, hanno evidenziato «radicali cambiamenti ed estesi pentimenti»: elementi che permetterebbero di ritenerla un autografo caravaggesco.


Questa versione della Presa di Cristo, che stando alle ricostruzioni della mostra fu in passato presso le collezioni Colonna di Stigliano e Ruffo di Calabria, è tornata sul mercato nel 2003, anno in cui fu acquistata dall’antiquario Mario Bigetti, e l’anno dopo veniva notificata dal Ministero dei beni culturali. Già all’epoca, il dipinto venne esaminato, e già all’epoca si notarono i pentimenti, tanto che Denis Mahon concluse che la versione Ruffo doveva essere il prototipo dal quale sarebbe poi discesa la Presa di Cristo oggi alla National Gallery of Ireland. Nel 2004 nasceva tuttavia anche un contenzioso legale sulla proprietà dell’opera, che si è concluso solo di recente: le rinnovate circostanze hanno dunque reso possibile l’organizzazione della mostra che ha come principale obiettivo la condivisione dell’opera col pubblico e con la comunità degli studiosi, chiamati a esprimersi sul dipinto. Petrucci, dal suo canto, condivide l’attribuzione a Caravaggio, e considera autografe entrambe le versioni, sia la Presa di Cristo della collezione Ruffo, sia la Presa di Cristo di Dublino, con precedenza per la variante Ruffo: quella irlandese sarebbe dunque una replica che perfeziona la redazione primigenia «migliorandone il classico decoro in senso iconografico ed estetico rispetto al carattere “espressionista” e fortemente drammatico del prototipo».


Di sicuro, l’opera è uno dei capisaldi del soggiorno romano di Caravaggio, una sorta di contraltare, destinato a devozione privata, delle spettacolari tele che Michelangelo Merisi aveva dipinto poco prima per la cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi e per la cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. Il buon numero di copie che si conoscono di questo dipinto, una delle quali conservata al Museo d’arte orientale e occidentale di Odessa in Ucraina, e una commissionata dallo stesso Ciriaco Mattei, attestano la fortuna di questa invenzione caravaggesca. E fino al 7 gennaio la comunità scientifica avrà dunque modo di studiare da vicino la versione Ruffo per comprendere se ad Ariccia è esposta la prima idea di uno dei quadri più noti di Caravaggio. Per il pubblico, invece, un’occasione ulteriore per entrare nelle dinamiche della diffusione delle idee di uno dei più grandi artisti della storia dell’arte.