L’animazione per grandi (accompagnati, perché no, da bambini) conosce un nuovo interessante capitolo. Si tratta di Manodopera (Interdit aux chiens et aux Italiens, 2022, 70 minuti) di Alain Ughetto, premio della giuria al prestigioso Festival international du film d’animation di Annecy. È la prima volta che il cinema animato di grande distribuzione affronta di petto il tema delle grandi migrazioni, e lo fa nell’anno in cui a Venezia vince il Leone d’argento Io capitano di Matteo Garrone che a sua volta racconta l’odissea contemporanea di due giovani che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa, attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare. Due film che sembrano tendersi la mano. Perché Manodopera, assai artigianale e proprio per questo assai generoso e commovente, parla di un’altra migrazione, quella italiana verso la Francia e la Svizzera, iniziata oltre un secolo fa. Il film inizia nel 1900 e racconta gli anni compresi tra la costruzione della galleria ferroviaria del Sempione e la seconda guerra mondiale, passando attraverso la guerra in Libia (appunto), la Grande guerra, l’epidemia di spagnola, il fascismo. È un po’ un Novecento formato “stop motion” quello che si dipana davanti ai nostri occhi increduli, quello della famiglia Ughetto, originaria di Ughettera (Torino), frazione alpina davanti al Monviso oggi abbandonata.
Qui il regista fa rivivere davvero come in una seduta spiritica i suoi nonni, Cesira e Luigi, suo padre Marcel, a suon di invenzioni di plastilina e cartone. Tra i momenti migliori ricordiamo quando la vera mano dell’autore stringe quella di plastilina della nonna o quando la nonna dice al regista in un’interessante inversione: «Tieni Alain, occupati di tuo padre». Alain Ughetto in carne e ossa deve infatti fornire al padre-bambino di plastilina oggetti per cavarsela nella famiglia di undici fratelli e nella Francia ostile in cui cresce. «Agli italiani gli si può far fare di tutto. Non hanno alcuna dignità. Possono lavorare fino a notte inoltrata», dice qualcuno dei manovali italiani. Quegli stessi italiani ai quali, come ai cani, è vietato l’ingresso nei bar. Questa epopea tenera e commovente, ma in fondo durissima e dignitosissima, ricorda a tratti, a settant’anni di distanza, un film straordinario di Pietro Germi, Il cammino della speranza, che si chiude con la indimenticabile ascesa delle Alpi italofrancesi da parte di clandestini italiani. Malinconia e fantasia si intrecciano qui in un mondo dove i manovali appena arrivati abitano in tuguri a forma di zucche e dove gli alberi hanno forma e consistenza di broccoli. Ma il ghiaccio, la neve, le rocce il torrente, le bombe, tutte le insidie sono terribilmente reali e presenti.