“BORN IN THE U.S.A.”

Tutte le narrazioni, soprattutto quelle contemporanee, hanno un inizio leggendario, cominciano con un evento mitico di fondazione, spesso non interamente storico, ma che svolge un ruolo di demarcazione e segna il confine tra un prima e un poi.

Questo inizio, nel caso dell’iperrealismo è stato identificato in Kennedy Motorcade (cm 96 x 106), un dipinto olio su tela realizzato nel 1964 da Audrey Flack, nata a New York nel 1931. Molti studiosi si sono però affannati a spiegare come in realtà la Flack non avesse a quel tempo intenzione di intraprendere un percorso capace di condurre a un movimento, e del resto un vero movimento non può essere identificato, come abbiamo già sottolineato.

Tuttavia, è un fatto che questa è la più antica opera che vada in questa direzione, con una metodologia ben precisa; si tratta, infatti, dell’utilizzo dichiarato di una fotografia, per la realizzazione di un dipinto a olio, che racconta il corteo che il 22 novembre del 1963 condusse John F. Kennedy dall’aeroporto di Dallas verso il luogo del suo assassinio. Dunque, un evento storico statunitense è al centro del primo dipinto iperrealista, ed è stato realizzato da una donna che ha immaginato un’opera pittorica che fosse il calco della cruda realtà dei fatti a partire da una fotografia.

Anche altri artisti contemporaneamente si vanno indirizzando verso le medesime modalità di esecuzione di un dipinto. Per esempio, Robert Bechtle, nato a San Francisco nel 1932, esegue nel 1965 ’56 Chrysler (cm 91 x 101), un’opera dipinta a olio su tela che trova il proprio soggetto, nell’ordine dell’elegia del “mito americano”, in una automobile familiare, che tante volte vedremo ritratta dallo stesso Bechtle, e che rimanda a quella idea di “casa su ruote” che ha costruito tutto il mito del West fin dai tempi dei primi pionieri.

Quindi, come ha ben sottolineato Leda Cempellin(13), abbiamo una nascita contemporanea dell’iperrealismo statunitense a opera di Audrey Flack nella East Coast e di Robert Bechtle nella West Coast.

Contemporaneamente a quanto accade in pittura, altri artisti si muovono lavorando con resina e poliestere, come Duane Hanson e John de Andrea che ottengono calchi della realtà e producono “manichini illusionistici” come li definì nel 1975 Filiberto Menna(14), seguendo i primi esperimenti in gesso fatti da Yves Klein con i Portraits-Relief (Ritrattirilievo) nel 1962 e poi quelli di George Segal, come per esempio, The Diner del 1964. Duane Hanson con Hard Hat Construction Worker del 1964 rappresenta l’operaio della classe media americana, e in altre sue sculture rappresenta turisti, casalinghe, giovani donne obese che fanno la spesa, cameriere, studenti, operai al lavoro, autostoppisti e surfisti, e mette così in scena la vita quotidiana del mondo occidentale opulento e consumista.

John de Andrea con Untitled del 1970 rappresenta un corpo nudo femminile in piedi, che poi svilupperà per la sua intera carriera, mostrandolo seduto in terra o su un letto, sdraiato, accovacciato, reclinato su una tavola o sul pavimento, raccontando per certi versi una condizione di intima solitudine, come in certi dipinti di Hopper, e insieme una condizione naturale del corpo nella vita quotidiana, tra voyeurismo e femminismo, tra consumo del corpo e rivendicazione di un diritto(15).

Vediamo, dunque, che le varie origini dell’iperrealismo, che sembrerebbe sorgere simultaneamente in più luoghi e con più matrici originarie, s’intersecano naturalmente con il pop, in tutte le sue molteplici forme d’arte, dalla musica al cinema, al fumetto, alla pubblicità, alla cartellonistica, e infine, ovviamente e più direttamente, alla Pop Art.



Yves Klein, Portrait Relief I: Arman (1962), particolare; Filadelfia, Philadelphia Museum of Art.


Audrey Flack, Kennedy Motorcade (1964).