Architettura per l'arte
UN BATTELLO
SULL’ACQUA
di Aldo Colonetti
Questa volta il tetto del nuovo museo di Renzo Piano, a Istanbul, è coperto da un’ampia distesa di pochi centimetri d’acqua. Sono seicentocinquanta metri quadri, come una piscina sospesa; durante l’inaugurazione, il 4 maggio scorso, l’architetto genovese con alcuni suoi collaboratori ha improvvisato lì una danza propiziatoria a piedi nudi, sullo sfondo il Bosforo. Una sorta di rito, proprio per marcare questo spazio, dedicato all’arte moderna e contemporanea in un paese, come la Turchia, sempre in bilico tra tradizioni, conservatorismi e spinte innovative che vengono dalla società civile.
L’Istanbul Modern è il primo lavoro di Piano in Turchia; il cantiere è durato sette anni, circa diecimila metri quadri la superficie totale, cinque i piani. Il progetto, in collaborazione con Arup, si presenta come un’opera “unica” e avanzata, in una città caotica la cui estetica dominante appartiene a una storia e a una cultura che non sempre ha dialogato con il Movimento moderno e soprattutto con il contemporaneo. Lo stesso presidente Erdoğan, pur apprezzando il risultato, durante la cerimonia di inaugurazione ha affermato: «Noi abbiamo bisogno di tradizione».
È un progetto nel solco dei grandi musei realizzati dall’architetto genovese sparsi in tutti i continenti, dotato di uno “sguardo” accogliente, rivolto verso il Bosforo, capace di incantare ma anche di aprire le porte al futuro.
Come sempre, Piano ha privilegiato le sue scelte stilistiche e i suoi materiali: grandi vetrate, tiranti di ferro, alluminio e cemento grezzo, il tutto in un contesto di minareti dai quali si levano i canti dei muezzin. Siamo nel Corno d’Oro dove i mari s’incrociano e si sentono i suoni e i rumori di un grande “porto di transito”.
Piano il mare ce l’ha nel sangue, come tutti i suoi concittadini, ed è sempre presente nelle sue architetture.
«Non posso farne a meno, insieme al tema della durata di un’opera e del concetto di piazza, una nostra tradizione rinascimentale. Questo museo è destinato a durare», precisa Piano, «anche perché è stato costruito utilizzando al meglio le tecnologie e i materiali antisismici, in quanto qui sotto di noi passa la stessa faglia che va a finire alle pendici dell’Etna, quella della catastrofe di Messina del 1908. Sono destinato a lavorare in territori difficili, basti pensare al Lacma di Los Angeles (2010), o al California Academy of Sciences a San Francisico (2008)».
Il nuovo museo di Istanbul è un’architettura leggera, quasi una sorta di battello volante, all’interno del quale gli spazi sono aperti per lasciare all’arte la libertà di recitare il suo ruolo: 4,5 metri di altezza, il pavimento in cemento grigio come i pilastri rotondi, il tutto avvolto da una serie di riflessi di luce che provengono dal Bosforo.
Un vecchio deposito portuale, «una specie di bunker rettangolare sdraiato sull’acqua», riflette Piano, come se l’opera fosse sempre esistita. Lui non ha fatto altro che mettere in campo l’arte della maieutica.
I committenti sono privati, una coppia di turchi liberali, grandi collezionisti d’arte contemporanea, Oya e Bülent Eczacıbaşı, che hanno trovato in Piano la mente e il braccio di un progetto che da anni avevano in mente, rispettando anche il budget iniziale, circa trentacinque milioni di euro.
Questo museo – come il Ges-2 House of Culture a Mosca, sempre di Piano, inaugurato nel 2021 tra incertezze politiche e contesti internazionali conflittuali – è un luogo di pace, confronto, apertura sul mondo. L’Istanbul Modern si è già trasformato, da solo, con il passaparola, in una cittadella culturale della Turchia “laica”. È la più grande soddisfazione per un architetto, a dimostrazione del significato civile e politico di questa disciplina.

