Grandi mostre. 3
MORANDI A MILANO

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A PALAZZO REALE LA RETROSPETTIVA DEDICATA A GIORGIO MORANDI – SEMPRE PRONTO A SPERIMENTARE E A GUARDARE OLTRE I CONFINI NAZIONALI – INDAGA A FONDO L’INDOLE UMANA E ARTISTICA DEL PITTORE BOLOGNESE, SFATANDO LUOGHI COMUNI.

Sileno Salvagnini

Si è sviluppato il luogo comune, osserva Maria Cristina Bandera, curatrice della grande mostra sul pittore bolognese al Palazzo reale di Milano (in corso fino al 4 febbraio), che Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964) sia stato solo il pittore del “silenzio”, vissuto appartato, che ripropone all’infinito le solite nature morte e paesaggi. In realtà, continua la curatrice, egli «si dimostrò da subito informatissimo su tutto e niente affatto isolato. Seppe compiere scelte lucide nel suo cammino di ricerca pittorica e perseguire incontri e rapporti con artisti, letterati […] estremamente selettivi in un orizzonte allargato, travalicante l’iniziale perimetro bolognese, via via sempre più ampio fino a divenire, col procedere degli anni, internazionale».

Il problema dei luoghi comuni interpretativi si potrebbe estendere anche ad altri giganti dell’arte coevi, quali Arturo Martini – lo scultore che si ripeteva sempre, per esempio – o Mario Sironi, pittore perennemente cupo.

Le prime realizzazioni pittoriche di Morandi mostrano un vivo interesse dell’artista verso i dipinti di Paul Cézanne, che non aveva visti dal vivo ma attraverso riproduzioni di un famoso libro di Vittorio Pica, Gli impressionisti francesi (1908).

La mostra milanese si apre con un Paesaggio del 1913, un Fiori dello stesso anno ma soprattutto uno splendido quadro di Bagnanti (1915), che si ispira sicuramente all’iconografia del grande pittore francese (Cézanne appunto). Nel 1915, nel secondo numero della rivista artistica e letteraria bolognese di Giuseppe Raimondi “La Raccolta” (1918), compare per la prima volta una riproduzione di Morandi, una sua acquaforte: Natura morta con bottiglie e caraffa (1915).

Un aspetto essenziale sottolineato in catalogo da Flavio Fergonzi è che il collezionismo delle opere del pittore bolognese ha preceduto le valutazioni della critica d’arte professionistica: «A interessarsi a Morandi furono infatti prima i compagni di strada letterati (Riccardo Bacchelli, Giuseppe Raimondi, Leo Longanesi, Antonio Baldini), poi i compagni di strada artisti (Giorgio de Chirico, Carlo Carrà, Ardengo Soffici, Luigi Bartolini) […] Le loro pagine anticiparono quelle di storici dell’arte come Cesare Brandi, Roberto Longhi, Francesco Arcangeli, Carlo Ludovico Ragghianti; e, ancor più, quelle dei critici che scrivevano sui giornali e periodici».

Nel 1910, come ben evidenzierà Francesco Arcangeli, Morandi aveva compiuto viaggi importanti a Venezia – dove alla Biennale vide la personale di Renoir – e a Firenze, dove restò incantato dagli affreschi di Giotto, Masaccio e Paolo Uccello. L’anno dopo fu a Roma per la mostra che commemorava il cinquantenario del Regno d’Italia, dove trovò, fra l’altro, opere di Matisse. Una Natura morta del 1916, passata per grandi collezionisti come Alberto della Ragione e Carlo Frua de Angeli, mostra un netto mutamento rispetto alle sodezze precedenti. La fruttiera e gli altri oggetti si offrono in uno spazio luminosissimo e quasi piatto, tremulo; una sorta di sindone, di sudario delicato, come se la natura non fosse costituita da oggetti solidi quali ce li propone la fisica classica, ma il frutto di infinite onde, o stati quantistici, come ce li descrive invece Federico Faggin, grande fisico nonché inventore del primo microprocessore al silicio.

Qualche anno dopo Morandi vive in modo autonomo la propria stagione metafisica. Fra i primi a stilare un vero e proprio contratto con lui fu Mario Broglio, collezionista ed editore romano della celebre rivista “Valori Plastici”, che infatti pubblicò le prime riproduzioni di suoi quadri. Fra questi, la Natura morta del 1918, per la quale la curatrice parla di un evidente passaggio alla tridimensionalità, memore non solo di Piero della Francesca, ma anche di Luca Pacioli. Di questa stagione vi sono poi tre celebri nature morte: due del 1918, provenienti rispettivamente dalla Collezione Jucker (ora al Museo del Novecento, Milano) e dalla Fondazione Magnani Rocca, e una del 1918-1919, donata da Emilio Jesi alla Pinacoteca di Brera.


Natura morta (1918), Milano, Pinacoteca di Brera.


Paesaggio (1935), Torino, GAM - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea.