Grandi mostre. 4
ACHILLE FUNI A FERRARA

Classicità
e avanguardia

HA INCORPORATO NELLA SUA POETICA IL CLASSICO, LO HA FATTO PROPRIO, LO HA STUDIATO. ACHILLE FUNI, PROTAGONISTA DEL SECOLO SCORSO, HA FUSO NELLE SUE OPERE CON MODERNA PLASTICITÀ LE ISTANZE DEL PASSATO CON LE AVANGUARDIE DEL SUO TEMPO, TRA FUTURISMO, CUBISMO, METAFISICA E REALISMO MAGICO.

MAURIZIA TAZARTES

«Operaio e sognatore» lo definisce nel 1940 l’amico Giorgio de Chirico. «Artigiano e studioso», «classico tra le avanguardie ». Molte le definizioni critiche che hanno accompagnato questo grande artista, che ha dedicato la sua esistenza all’arte, alla pittura, al disegno, all’affresco, perseguendo con tenacia l’idea profonda che ne aveva: l’antico attraverso l’attualità della sua epoca. Vivere, rivivere il passato, ma attualizzarlo attraverso le forme ultime. Un viaggio affascinante e difficile, con esiti straordinari.

Achille Funi (Ferrara, 1890 - Appiano Gentile, Como, 1972) amava il mestiere ma era capace di trasfigurarlo in sogno. E oggi una grande mostra nella sua città natale glielo riconosce.

Achille Funi. Un maestro del Novecento tra storia e mito, a cura di Nicoletta Colombo, Serena Redaelli e Chiara Vorrasi, riunisce a Palazzo dei diamanti più di centoventi opere (dipinti a olio e a tempera, acquerelli, disegni, cartoni preparatori per affreschi e mosaici) che, giunte da importanti collezioni italiane e straniere, ripercorrono tutto l’iter, sottile e complesso, di un protagonista del secolo scorso.

Chi era Funi: un artista che la classicità l’aveva nel sangue. Nato col nome di Virgilio Socrate, poi cambiato in quello d’arte di Achille, era venuto alla luce nel cuore di Maternità (1921). Ferrara, in corso Giovecca, primo di quattro figli, da un padre pastaio e una madre casalinga. Sin da bambino legge la Bibbia, l’Odissea, l’Iliade, e poi Ariosto, Tasso, letture d’obbligo nella sua colta città, che aveva riprodotte sui muri di chiese, palazzi e nel castello estense molte di quelle storie, opera di grandi artisti, cui già da bambino guardava. A dodici anni aveva cominciato a seguire i corsi di figura, plastica e decorazione proprio nel Palazzo dei diamanti, allora sede dell’Istituto d’arte Dosso Dossi. In contemporanea, fa lezioni private di pittura con il maestro Nicola Laurenti e si fa notare per la sua bravura.

Ma è a Milano, dove si trasferisce con la famiglia nel 1906, che comincia la sua vita di artista. Alla fine di ottobre si iscrive all’Accademia di Brera, dove frequenta il corso di nudo, conosce i migliori insegnanti e i giovani allievi, che diventeranno i protagonisti delle future Nuove tendenze. Tra questi Dudreville, Bucci, Carrà e il conterraneo Bonzagni con il quale stringe una forte amicizia. Funi era timido, ricorda Carrà nel 1925, di una «timidezza che lo teneva lontano dalle rumorose combriccole». Sono gli anni in cui firma l’ancora acerbo, ma non privo di fascino, Autoritratto in tecnica mista su carta, cui ne seguiranno molti altri, a segnarne le tappe di vita e lavoro. Prosegue nel 1909-1910 a frequentare i corsi di Cesare Tallone a Brera, ma presto ne rimane deluso. Studia Leonardo, legge Cesare e Tacito e altri classici.

Tramite Carrà, nel 1909 conosce Boccioni, che nota il suo Aratura esposto al premio Brera nel Palazzo della permanente e ne sottolinea la robustezza, «solida e goffa costruzione », memore di Fattori. Si avvicina ai futuristi e al primo Marinetti, ma non entra nel gruppo, non condividendone i principi fondamentali, la negazione di spazio, tempo, forma.

Funi, che è alla ricerca dell’oggetto nella sua reale consistenza, prova a scomporlo per carpirne i segreti e a ricostruirlo, guardando alle avanguardie cubiste e agli antichi.

Il risultato sono opere interessanti e personali, come L’uomo che scende dal tram del 1914 del Museo del Novecento di Milano, o Il motociclista futurista dello stesso anno.

L’uomo che scende dal tram, pur nel vortice di forme indefinite in movimento, ha una sua realtà: la figura umana non viene negata, è riconoscibile nel volto mascherato e nel grande cappotto, tra gli ingranaggi del mezzo di trasporto. Il dipinto è descritto e apprezzato da Boccioni, che lo aveva visto nello studio di Funi. Scrive Boccioni su “Gli Avvenimenti” del 1916: «In questi quadri la sintesi schematica che gli viene da Cézanne e dai postimpressionisti si libera dall’immobilità che lo farebbe cadere in fantocci strani e arcaici».

Per Funi, il mondo era composto da volumi e colori e Cézanne rappresentava il raccordo tra il presente e la storia, come affermava nell’esposizione di Nuove tendenze del 1914 alla Famiglia artistica milanese (associazione fondata nel 1873 da Vespasiano Bignami). Cercava quindi di conciliare i ritmi di Boccioni, i colori del futurismo, i volumi di Cézanne.


Autoritratto (16 ottobre 1908).


Ragazzo con le mele (Il fanciullo con le mele) (1921), Rovereto (Trento), Mart - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto;