La designazione di Bergamo nel 2023, insieme alla vicina Brescia, come Capitale italiana della cultura ha visto una serie di iniziative a partire dalla riapertura della gloriosa Accademia Carrara con un nuovo e molto apprezzato allestimento, assai diverso da quello precedente. Gli spazi espositivi, che integrano il percorso delle collezioni permanenti, dopo la rassegna sul riscoperto genio di Cecco da Caravaggio, ospitano in questa ultima parte dell’anno una mostra che risponde a una delle vocazioni della città, patria di Gaetano Donizetti, il più prolifico tra i grandi protagonisti del nostro melodramma.
L’iniziativa, che vuole mettere a confronto la pittura con il teatro d’opera in epoca romantica, è iniziata dalla considerazione che dalla fine del Settecento, con un prodigioso slancio nel secolo successivo, le vicende e i protagonisti della storia e della letteratura, con un rinnovato interesse per il passato – Medioevo e Rinascimento, in particolare – hanno occupato sempre di più l’immaginario collettivo occidentale.
È la rivoluzione romantica, che ha investito tanto le lettere e le arti, quanto appunto il mondo dello spettacolo, per cui ai miti antichi e alle gesta esemplari dei greci e dei romani si sostituirono una nuova mitologia moderna e un’epopea più vicine alla sensibilità contemporanea e alla riscoperta identità nazionale e cristiana.
Dai rivolgimenti sociali determinati dalla Rivoluzione francese era nato un nuovo pubblico più vasto e partecipe, formato da ceti e generazioni giovani che ora si impadroniscono del palcoscenico della storia. Sono uomini e donne – prepotentemente venuti alla ribalta – che leggono romanzi, frequentano teatri e visitano le pubbliche esposizioni d’arte, un fenomeno nato da poco e sempre più in espansione. Si appassionano così, immedesimandosi, alle vicissitudini e ai conflitti vissuti da personaggi realmente esistiti in cui proiettare i tormenti dell’animo romantico e le inquietudini dell’umanità coeva.
Assistiamo alla popolarità sempre più crescente del cosiddetto romanzo storico, diffuso in tutta Europa, di cui il suo massimo esponente, lo scozzese Walter Scott, ha fornito un modello seguito e diffuso in tutto il mondo; della pittura storica, che continua a essere il genere più amato; del melodramma, profondamente riformato rispetto al passato, che trova nei grandi compositori italiani come Gioacchino Rossini, Vincenzo Bellini, Donizetti, appunto, e Giuseppe Verdi, i popolari interpreti. Viene così alimentata in un pubblico sempre più ampio, intergenerazionale e interclassista, la passione per la storia, in quanto sulla pagina scritta, sulle assi del palcoscenico e nelle tele vengono trattati gli stessi temi e vengono consacrati i nuovi eroi pronti a soppiantare quelli della mitologia e del mondo antico.
Storici, letterati, pittori, scenografi e costumisti teatrali fanno a gara nel rievocare il passato non solo con passione ma anche con la maggiore fedeltà possibile nella descrizione degli ambienti, nella resa delle fisionomie, degli atteggiamenti e degli abiti. Per verificarne l’attendibilità ricorrono alle stesse fonti, anche se poi è la fantasia a intervenire in un abile equilibrio tra verità storica e invenzione. Del resto, quest’ultima era decisiva per poter restituire il cosiddetto “colore locale”, in un’atmosfera tale da rendere attuali quei luoghi, quelle vicende, quei personaggi e quelle passioni lontani.
I grandi dipinti storici, accolti alla loro epoca come capolavori – di Francesco Hayez, François-Marius Granet, Édouard Cibot, Francesco Podesti, Cosroe Dusi, Michelangelo Grigoletti, Francesco Coghetti, Domenico Induno, Domenico Morelli, Anselm Feuerbach – documentano la fortuna trasversale di certi tempi. Mentre i ritratti di Giuseppe Molteni, Lorenzo Bartolini, Cincinnato Baruzzi, e ancora di Hayez e Boldini ci tramandano l’immagine di alcuni dei protagonisti, compositori e cantanti, ballerini e scenografi, di quella straordinaria stagione.
Sono stati privilegiati alcuni temi di forte impatto emotivo e che hanno conosciuto una grande popolarità a partire da un evento biblico di proporzioni catastrofiche come il Diluvio universale – transitato dal riscoperto melodramma di Donizetti del 1830 alla pittura – alla storia di Venezia, il cui fascino era stato riscoperto da Byron e poi alimentato e reso popolarissimo dalla pittura di Hayez e dai melodrammi di Donizetti (Marin Faliero) e Verdi (I due Foscari); all’attualità patriottica della rivolta dei Vespri siciliani rappresentati da Hayez e musicati da Verdi.
Vengono rievocate le vicende di personaggi tragici, vittime della storia, come Maria Stuarda, Anna Bolena, Caterina Cornaro, Otello, Torquato Tasso diventati molto familiari, oltre che per l’interesse risvegliato da storici e romanzieri, proprio per la loro comparsa sulle scene in tutta Europa e in pittura. L’ idea è quella di restituire attraverso i dipinti in mostra quelle interferenze tra i due linguaggi, quello pittorico e quello scenico, già avvertite dai contemporanei.
Per un autorevole testimone dell’epoca, Opprandino Arrivabene, amico di Verdi, gli eventi raffigurati nei dipinti di Hayez «sembra di vederli piuttosto in un teatro che sulla grande scena del mondo».




