Lo scopo della cornice potrebbe essere considerato come un tentativo di contenere l’espansibilità di quanto raffigurato in un dipinto, di porre un limite o almeno una pausa rispetto a ciò che non si vede ma che potrebbe continuare al di là del contenuto manifesto dell’opera. Ma non è tutto. Oltre lo spazio illusorio del quadro e oltre il perimetro delimitato dalla cornice se ne potrebbe creare un altro, immaginabile dagli stessi fruitori.
Sulla base di queste premesse, ammettiamo che la cornice possa generare una sorta di isolamento e concentrazione nei confronti del dipinto rafforzando l’idea di un confine così ben circoscritto da escludere l’ambiente circostante e anche l’osservatore. Nel vasto repertorio delle opere presenti nella storia dell’arte si sono conservate alcune tracce di cornici, dotate di un semplice dispositivo in grado di nascondere l’immagine del quadro attraverso una tendina scorrevole sul binario del lato superiore. Natura morta di fiori in un vaso di vetro (1685) di Maria van Oosterwijck, custodita al Joslyn Museum di Omaha, è sopravvissuta nella sua cornice originale in legno, con decorazione a intaglio e doratura, insieme ai fissaggi e all’asta per la tenda(1). Nel museo, l’opera è visibile coperta parzialmente da una cortina di seta verde, probabilmente ispirata a quelle dipinte a trompe-l’oeil, volte a proteggere idealmente un ambiente, come nel caso, per esempio, di Interno della Oude Kerk in Delft (1654) di Gerard Houckgeest e di Natura morta con ghirlanda di fiori e tenda (1658), dove Frans van Mieris ha realizzato una realistica e lenticolare tenda azzurra sull’opera floreale di Adrian van der Spelt, appesa ad anelli descritti come fossero in ottone, appannati e opachi, con il tessuto leggermente arricciato nel punto di giunzione.
Lo scopo principale della tenda posta su un quadro era probabilmente quello di preservarlo dalla luce diretta del sole, dalla polvere e dal fumo del camino o della stufa. Ma in alcuni casi alludeva anche a considerazioni morali legate ai soggetti licenziosi presenti in alcuni dipinti a tema mitologico o erotico. A questa natura sembra appartenere un particolare presente nel secondo dei sei dipinti, Tête à tête – della serie Matrimonio alla moda (1743 circa) di William Hogarth, ora alla National Gallery di Londra – ambientato in una ampia sala. Qui, in un’opera riprodotta sulla parete sinistra della stanza, subito dopo un arco, scorgiamo un piede di un corpo che si presume sia nudo. Il soggetto della “metapicture” (l’immagine di un quadro rappresentato dentro un altro quadro) è celato da una tenda verde. Collegato al tema principale dell’intero ciclo di Hogarth, ovvero il momento della seduzione amorosa nel “tête à tête” dei due giovani rampolli della nobiltà inglese, il motivo “peccaminoso” del dettaglio appena illustrato potrebbe rimandare a qualcosa che poi la coppia vivrà, al di là di ogni senso del pudore.
Carmelo Bene ha inventato una falsa etimologia del termine “osceno”, reinterpretandola come «ciò che deve rimanere fuori dalla scena», che è proibito vedere, che deve sottrarsi alla rappresentabilità.
