La pagina nera

UN EX MONASTERO
DOVE TUTTO È SOLO NERO

FABIO ISMAN

Edificata nel 1614, la chiesa di San Pietro a Cologna Veneta (Verona), meglio nota come oratorio delle suore cappuccine, che vivevano nel convento contiguo, oggi è un cumulo di macerie. Custode di preziose reliquie, il complesso, Sede dell’ordine religioso fino al 1849, poi ospedale psichiatrico, da diversi decenni è abbandonato. Un’associazione ne ha denunciato lo sfacelo ma, a oggi, nulla è cambiato.

In una cittadina di ottomila anime, in provincia di Verona e a una quarantina di chilometri dalla città veneta, c’è un luogo che grida vendetta. Lo fa da molto tempo, ma assolutamente invano. Cologna Veneta è famosa per il torrone mandorlato di Natale; per quasi quattro secoli, fino al 1797, è stata dei veneziani; è abitata da tempi remoti: infatti, grazie ai ritrovamenti di un gran numero di reperti nel territorio, ha il museo archeologico più antico della provincia (1892), oggi in piazza Duomo; ha poi anche una torre civica del 1555 e un Palazzo pretorio ancora più remoto, che è sede del Comune.

Ma qui, nel 1614, è sorta la chiesa di San Pietro, nota come oratorio delle suore cappuccine, ed è di questo che vogliamo parlare. L’oratorio possedeva tre altari, uno dedicato appunto ai santi Pietro e Paolo. Le monache, che vivevano nel monastero adiacente alla chiesa, resero il complesso religioso ricco e dotato. Molte di loro, infatti, provenivano da famiglie veneziane altolocate, cosa che aveva permesso di comprare numerose e importanti reliquie. Due secoli fa, l’edificio sacro ne vantava oltre duecento. Un elenco non esaustivo redatto dallo storico Guerrino Maccagnan, contemplava perfino lacerti della fune della Flagellazione di Cristo, “pannicelli” del Bambin Gesù, frammenti della sua veste e di quella della Madonna, ampolle con il sangue di san Francesco, abiti e ossa di santi meno noti.

Pure, secondo le stesse suore, quasi tutto il corpo di due martiri: i santi Mercurio e Gaudenzio (il primo vescovo di Rimini). Le vicende di quel luogo, però, si interrompono bruscamente il 28 aprile 1810: un decreto napoleonico abolisce le congregazioni religiose. Il sito, provvisto anche di un invidiabile chiostro con archi a tutto sesto, diventa luogo di cura e convento per le sorelle della Misericordia. Ma anche questa soluzione non è destinata a durare: dal 1849 nell’ormai ex convento si insedia la sezione psichiatrica dell’ospedale civile, e dove vivevano le monache vengono rinchiusi i più o meno “pazzi”. Una sistemazione che dura fino al 1981 (la chiusura definitiva dei manicomi non fu, infatti, concomitante con la legge Basaglia del 1978). Dopo di allora, solo il degrado, quantunque ancora negli anni Novanta nella chiesa di San Pietro si celebrassero le messe domenicali.

Quello che un tempo era «uno scrigno d’arte e di fede popolare », era purtroppo pronto a diventare unicamente uno sfacelo.

Presto, le opere più importanti dell’oratorio – come gli angioletti scolpiti nel Settecento da Giovanni Bonazza o dalla sua bottega (magari dai figli Francesco, Tommaso e Antonio; di Giovanni, per esempio, i marmorei leoni in piazzetta dei Leoncini a Venezia), le suppellettili e i dipinti – sono trasferite nel duomo e nei suoi depositi. Ma nel (parrebbe mai sconsacrato) tempio dell’ex monastero attendono ancora di essere salvati i tavoli d’altare; i rilievi, i rivestimenti e gli intarsi; quattro grandi statue dei santi Francesco, Chiara, Cristoforo e Antonio. E intanto tutto, abbondantemente e a più riprese, ha conosciuto e subito l’opera dei vandali.

A inizio del 2013, è stato rubato il reliquiario di san Mercurio, con le presunte ossa e cranio, ritrovato però dopo poche settimane non lontano, ad Albaredo (Verona), in riva all’Adige. Tra il 2014 e il 2015 parte del tetto è crollato, e nella chiesa pioveva.

Nel 2022 una delle due finestre delle lunette risultava rotta, anche qui con gravi rischi: si temeva l’ingresso di altri piccioni; altri, perché i loro escrementi sono già sparsi a terra. Nello stesso anno è precipitata miseramente una trave del tetto, spezzando la statua di san Francesco. Tutto questo è stato oggetto di denuncia da parte dell’associazione I luoghi dell’abbandono che, nel sito, poco tempo fa ha organizzato una mostra sui manicomi.

Un giorno si sono trovati, sparsi su un altare, addirittura frammenti di ossa, certamente provenienti da qualche reliquia, vera o fasulla, posseduta dalla chiesa. Colonnine di marmo degli altari impietosamente giacciono spezzate e a terra. Pezzo per pezzo, il tempo, e non solo, si sta portando via un po’ tutto. Sembra quasi un bollettino di guerra.

Ma nemmeno questo, finora, è servito a salvare l’ex monastero e la chiesa: immagini crudeli ce ne testimoniano lo stato recente. Rifiuti, residui di qualche evento che vi si è organizzato, sparsi qua e là; il pavimento di San Pietro sembra un deposito di scarti: panche rotte, e dimenticate; confessionali traballanti; su un muro, una lapide ricorda Benedetto XIV, papa a metà Settecento: aveva permesso di consacrare un altare ai defunti.

Non va meglio nell’ex convento: porte sbocconcellate; il chiostro che è il trionfo delle erbacce e dell’incolto; una lastra commemorativa evoca i benefattori: ma benefattori ormai di che cosa? Sotto i portici, poco tempo fa, rimaneva un’alta scala trasportabile, su ruote: lei pure dimenticata. Sotto un arcone, un pannello della «Sedicesima giornata della coralità veronese», del 1999; e un “trompe-l’oeil” di finte montagne. Nel 2022, risultava proprietaria del luogo la casa di riposo Domenico Cardo; però, non si direbbe che dell’ex monastero se ne sia curata poi troppo. E forse, continua a non curarsene nemmeno ora. È solo un piccolo scandalo: uno dei tanti di cui il nostro paese è fin troppo pieno. Ma quanto, pur di qualche pregio, giace ancora abbandonato? E il Ministero, o le soprintendenze, che cosa mai fanno?


La chiesa di San Pietro, sorta nel 1614 a Cologna Veneta (Verona), nota come oratorio delle suore cappuccine, che vivevano nell’attiguo monastero, trascurata da molto tempo, è in totale rovina.
Il chiostro, trionfo di erbacce e manifesto di trascuratezza.


Uno degli altari dell’oratorio in disarmo, colonnine marmoree finite a terra.


Un altro altare dell’oratorio meglio conservato, nonostante l’incuria.


Una sala con rifiuti, residui di qualche evento. Sotto l’arcone, un “trompel’oeil” di finte montagne.


Confessionali e arredi abbandonati da chissà quanto tempo.