Il passaggio dall’attenzione rivolta a un passato glorioso, orgogliosamente custodito e coltivato dalla tradizione culturale cittadina, alla proposta di un linguaggio sostanzialmente diverso, funzionale al proposito di valorizzare in sommo grado le infinite possibilità espressive del disegno, viene di solito indicato in un’opera ben precisa del camaldolese.
Si tratta del trittico del Museo della collegiata di Sant’Andrea a Empoli (Firenze), con la Madonna dell’umiltà tra i santi Donnino e Giovanni Battista, Pietro e Antonio abate, recante la data del 1404 in calce all’elemento centrale. E in effetti nel viluppo circolare del gruppo divino, nel profilo guizzante e incontenibile del mantello della Vergine che si disperde a terra in primo piano, si riconosce il riflesso indiscutibile dei dipinti coevi di Gherardo Starnina, attestato di nuovo a Firenze nella primavera del 1402 (Lenza), dopo il fondamentale soggiorno spagnolo a Valencia degli anni dal 1395 al 1401. Tuttavia, piuttosto che il trittico empolese, personalmente ho sempre ammirato e soprattutto, ritenuto più rilevante per il percorso e per la svolta stilistica di don Lorenzo, la grande tavola – recante anch’essa la data del 1404 – raffigurante Cristo in pietà fra i dolenti e i simboli della Passione, conservata alla Galleria dell’Accademia di Firenze, nella quale Luciano Bellosi leggeva invece soltanto «insistenze grafiche un po’ inconsulte». Lo stupendo manto rosato che avvolge il san Giovanni dolente è uno dei brani pittorici più belli del tardogotico fiorentino, che inoltre certifica non soltanto l’assoluta affinità d’intenti con Starnina, ma soprattutto l’ispirazione di fondo derivata da Lorenzo Ghiberti, vero e indiscusso “maître à penser” dell’umanesimo tardogotico fiorentino. Stagione felicissima dell’arte fiorentina, quella dell’umanesimo tardogotico, celebrata nella mostra Bagliori dorati svoltasi nel 2012 agli Uffizi, che continuerà a offrire a un’ampia porzione della committenza cittadina i suoi ammirati e richiesti raggiungimenti fino alla metà del Quattrocento. Una volta messa a punto questa sua incomparabile cifra stilistica, don Lorenzo la coltiverà sviluppandola fino alla fine del suo percorso, in una maniera che verrebbe da definire quasi intima, giungendo a un linguaggio che, come ebbi modo di osservare molti anni or sono, potrebbe apparire chiuso in se stesso e perfino impermeabile a qualsiasi apporto esterno. Il dato fondamentale di questo linguaggio appare senza dubbio quello della coerenza stilistica. Esso, infatti, non presenta variazioni sostanziali, a partire dalla Madonna di Stoccarda (1407) e dal polittico per l’altar maggiore della chiesa del convento di San Benedetto fuori Porta Pinti – il primo grande complesso d’altare dipinto dall’artista per il suo ordine monastico negli anni 1407-1409 –, conservato in massima parte alla National Gallery di Londra. E tale omogeneità linguistica e di stile è ancora oggi fonte di notevole difficoltà per gli studiosi che si propongono di ricostruire l’esatta sequenza cronologica delle opere del pittore camaldolese.
Tecniche suntuarie
Nonostante ciò, don Lorenzo continuerà a sviluppare, anzi per meglio dire, ad affinare questo stile inconfondibile fino alla fine del suo percorso, valorizzandone in un crescendo stupefacente gli aspetti grafici e di ritmo, sperimentandolo anche in tecniche artistiche diverse, meno praticate o “di nicchia” come diremmo oggi, quali i vetri graffiti, dorati e dipinti. L’esemplare più bello e di sicura autografia di questa tecnica è certamente quello del Museo civico di arte antica di Torino, raffigurante la Madonna dell’umiltà fra i santi Giovanni Battista e Giovanni evangelista, sullo sfondo di un drappo straordinariamente sfarzoso, che reca la non meno preziosa data del 1408.
Ma quantomeno dalla sua bottega sono usciti anche il santo, forse san Barnaba, all’interno del reliquiario del Musée des Beaux-Arts di Lione e l’esemplare frammentario del Musée du Louvre a Parigi con la Madonna col Bambino in trono e due santi. Non meno importante e significativa fu inoltre l’attività dell’artista camaldolese nel campo delle vetrate dipinte, un’altra tecnica particolarmente indicata per sviluppare le potenzialità di un segno grafico sicuro e guizzante. Sappiamo dai documenti che nel 1410 a Lorenzo Monaco furono commissionate tre vetrate con le Storie dell’infanzia della Vergine per la lunetta centrale della parete nord della chiesa di Orsanmichele a Firenze. Di tali vetrate è arrivata fino a noi, seppure molto restaurata, soltanto la scena con La visione di Gioacchino. Inoltre, nel 1413 furono commissionati all’artista i disegni per la vetrata absidale della collegiata di Santo Stefano a Prato eseguita dal vetraio Niccolò di Pietro Tedesco, che purtroppo andò distrutta qualche decennio dopo.