CUSTODE DELLA TRADIZIONE
FIGURATIVA FIORENTINA

Non è nota la data di nascita dell’artista, posta generalmente intorno al 1370, mentre nel Registro vecchio del monastero di Santa Maria degli Angeli di Firenze, alla data del 29 gennaio 1414 (stile moderno 1415), è annotato l’acquisto da parte di «don Lorenzo dipintore da siene» di una casa di proprietà dello stesso monastero cui egli apparteneva, che parrebbe indicarne l’origine senese, accolta da gran parte dei critici, soprattutto in passato.

In realtà la parola potrebbe essere letta anche con il significato “da sé”, o “per sé”, e quindi l’origine fiorentina resta l’ipotesi più probabile.

Negli anni a cavallo fra Tre e Quattrocento, Piero di Giovanni – dal 1391 monaco del monastero camaldolese di Santa Maria degli Angeli a Firenze con il nome di don Lorenzo – affronta l’impresa di superare la tradizione giottesca, ancora viva nella Firenze di allora seppure incompresa e travisata, per attuare il collegamento con la cultura europea del cosiddetto Gotico internazionale, affiancato al suo livello dal solo Gherardo di Jacopo, detto lo Starnina. Ma occorre precisare subito che questi due grandi pittori e miniatori, pur condividendo ideali artistici certamente affini, resteranno tutto sommato diversi nei risultati. L’adesione degli artisti operanti a Firenze e nella Toscana di allora a questo complesso e articolato fenomeno storico-artistico, e soprattutto “di stile” (“International Gothic style”), produsse tuttavia esiti ben diversi rispetto a quelli che si manifestarono nelle aree geografiche ritenute più rappresentative di esso, quali Francia, Inghilterra, Germania e la Boemia. In primo luogo, perché tali esiti furono contraddistinti da accenti più contenuti rispetto ai caratteri ritenuti peculiari di questa straordinaria e multiforme stagione artistica: un disegno dai contorni guizzanti e taglienti; atmosfere fiabesche o iperrealistiche; modi pittorici raffinati fino all’eccesso; attenzione ai particolari più lussuosi; cromatismo lucente, e via dicendo. D’altra parte, la “via toscana” al Gotico internazionale si distinse perfino rispetto alle altre interpretazioni locali del Tardogotico fiorite nella penisola, dal Piemonte alla Lombardia, in Veneto e nelle Marche, fino all’area meridionale. In Lorenzo Monaco e nello Starnina, così come in altri protagonisti del Tardogotico nella regione, l’adesione convinta agli schemi compositivi e ai moduli formali di questa tendenza indubbiamente innovativa – specialmente nella fase iniziale –, soltanto in rari casi si espresse mediante la rottura completa con la tradizione trecentesca, com’è documentato in maniera eloquente proprio dalla fase neogiottesca nel percorso del frate pittore camaldolese, cui si accennerà fra breve.

Questo inquadramento di fondo dell’attività di don Lorenzo fu sottolineato in maniera particolare in occasione della mostra memorabile a lui dedicata alla Galleria dell’Accademia di Firenze nel 2006, curata dallo scrivente insieme a Daniela Parenti, nell’ambito della quale furono discusse altre problematiche di carattere generale inerenti all’artista, che ritengo sia stato finalmente sdoganato presso il grande pubblico proprio allora. Tra esse occorre riproporre qui il dilemma che ricorre sovente in maniera ineludibile nelle trattazioni storico-artistiche, specialmente in quelle a carattere monografico. Esso consiste in sintesi nella scelta della prospettiva con cui prendere in considerazione il catalogo delle opere di un dato artista. Se proporsi cioè, seguendo un concetto più restrittivo, di selezionare il nucleo più scelto dei lavori certamente autografi, confinando le altre opere nel limbo della produzione “di bottega”, oppure dei collaboratori e dei seguaci più o meno identificabili o lontani. In tal modo si corre però in misura maggiore il rischio di escludere dal catalogo, oltre a opere di grande rilevanza, altre di qualità inferiore o eseguite magari con l’intervento di qualche collaboratore anonimo, che rientrano comunque a pieno titolo nel novero della produzione del medesimo artista e contribuiscono a farne comprendere in maniera più compiuta lo stile e la portata dell’influenza da lui esercitata. E quest’ultimo è per l’appunto il “difetto” che, a partire dalla mostra fiorentina del 2006, fu imputato all’ampia monografia su Lorenzo Monaco pubblicata nel 1989 da Marvin Eisenberg, che resta pur tuttavia ancora ai giorni nostri un testo imprescindibile per l’analisi dell’arte del monaco camaldolese.


Battesimo di Cristo (1387-1388); Londra, National Gallery.


Festino di Erode (1387-1388), scomparto di predella, particolare; Parigi, Musée du Louvre.


Festino di Erode (1387-1388), scomparto di predella; Parigi, Musée du Louvre.