Il 19 novembre 1520 un gruppo di notai ed esecutori testamentari entrava nella villa transtiberina di Agostino Chigi, non ancora nota come Villa Farnesina, per redigere l’inventario della favolosa collezione di antichità, gioielli, gemme, monete antiche e suppellettili preziose che ornavano la principesca dimora del Magnifico banchiere dei papi. Agostino era morto già da sette mesi (quattro giorni dopo il suo artista prediletto, Raffaello), ma solo dopo la scomparsa della moglie Francesca Chigi Ordeaschi, madre dei suoi cinque figli, avvelenata fra il 9 e l’11 novembre, si era reso necessario un inventario a tutela degli orfani, uno dei quali ancora in fasce.
Le vicende dell’eredità Chigi hanno del romanzesco, e non è ancora noto come una raccolta di proporzioni tanto impressionanti si sia così rapidamente volatilizzata, anche prima del Sacco di Roma (1527); certo è che moltissimi collezionisti, facoltosi frequentatori della corte di Chigi, avevano puntato alle opere conservate nella villa e, subito dopo la morte di Agostino e Francesca, in rapida successione, se ne erano facilmente appropriati.