Sull’antica, altissima torre dell’abbazia cistercense di Montmajour, a pochi chilometri da Arles in Provenza, non si sta in piedi quando soffia il mistral. Il vento sibila fra le pietre della ripida scala a chiocciola che porta in cima, dove nonostante tutto non si può far a meno di salire, per ammirare dall’alto il chiostro, eretto fra il tardo XII secolo e gli inizi del successivo. Un cartello avverte che, in caso di mistral, è pericoloso anche solo salire. Meglio scendere, anche se a malincuore, anche perché in lontananza, nella piana della Crau (celebre per un dipinto di Van Gogh)( 1) mulinelli di polvere si alzano minacciosi quasi si fosse nel Sahara, mentre soffia il simùn. Se si vuole “sentire” anche da casa il sibilo del vento e la sabbia che vola consiglio la visione di Pour le mistral, girato in Provenza nel 1965 dal regista di origine olandese Joris Ivens(2).
Tuttavia, per respirare le poetiche suggestioni di quest’abbazia, non si può che venirci di persona. Van Gogh vi era arrivato da Arles, a piedi, nell’estate del 1888, e attorno alle rovine del maestoso complesso, con le finestre ogivali in rovina (ora in parte restaurato), coglieva fichi e ammirava salici, cipressi e piante inselvatichite. Al fratello Theo scrive che allora si era sentito come nel «Paradou» di Émile Zola, ovvero nel giardino immaginario e galeotto del romanzo La Faute de l’abbé Mouret (1875). Racconta Zola, noto anticlericale, che Serge Mouret, giovane prete di un villaggio provenzale, aveva perso l’innocenza in quel giardino paradisiaco, seducendo la virginale Albine. Non so se Van Gogh vide anche il chiostro. Oggi qui non c’è traccia né di preti né di monaci né di virginali fanciulle. Un abate a dire il vero c’è (qui a pagina 76, in alto), ma è di pietra, sul pilastro all’angolo nord: è ben vestito, ha un grosso anello con brillante nel dito medio della mano destra e i piedi con calzature a punta che calpestano un drago. Si pensa che sia il nobile Guillaume de Bonnieux, monaco del monastero fra 1204 e 1234. Non distante da lui, ma non visibile nella nostra fotografia, troviamo san Pietro che, a differenza dell’abate, è a piedi nudi. Che l’uno sia ben calzato e l’altro scalzo può esser ovvio per chi abbia pratica di iconografia medievale (e non solo medievale), mentre può non risultare così comprensibile per chi non abbia una simile dimestichezza. Ne ho la riprova il giorno dopo quando, lasciata l’abbazia cistercense di Montmajour, visito il chiostro ancor più importante e antico della cattedrale di Saint-Trophime, entro le mura di Arles.