«Di fatto io non ho mai capito il movimento “qui déplace les lignes” e adoro invece le forme statiche; e poiché la mia pittura nasce per così dire dall’interno e mai trova origine dalla mutevole “impressione” è ben naturale che queste forme statiche e non le mobili immagini della passione si ritrovino nelle mie figure». Potrebbe apparire come una dichiarazione di poetica questa importante testimonianza scritta da Felice Casorati in occasione della prima Quadriennale romana del 1931. In estrema sintesi, esprime il valore di un’indagine fortemente autonoma che sin dagli anni Dieci si distanzia da ogni forma di naturalismo o di sentimentalismo, così come dal movimento “qui déplace les lignes” con un chiaro riferimento al futurismo. E in tal senso appare significativo il ricordo dell’incontro con Umberto Boccioni avvenuto presumibilmente a Padova intorno al 1907 con Casorati piuttosto scettico nei confronti dei miti modernisti: «Io non fui preso dal contagio del suo entusiasmo, io ero convinto che soltanto dentro di me dovevo cercare la forza, la convinzione del mio lavoro».
Da queste premesse prende spunto Felice Casorati. Pittura che nasce dall’interno in corso sino al 7 aprile negli spazi del Museo archeologico regionale di Aosta. Con oltre cento opere tra dipinti, sculture, bozzetti teatrali e un corpus straordinario di ventitre disegni, la mostra, organizzata dall’Assessorato beni e attività culturali della Regione Valle d’Aosta, analizza attraverso sette sezioni (non manca nemmeno un approfondimento sulla scuola fondata dall’artista nel 1927 e le opere degli allievi principali) il percorso creativo di Casorati dal 1904 al 1960. E appare piuttosto singolare che siano due Autoritratti, genere assai raro nella sua produzione, a costituire l’alfa e l’omega della rassegna. Da un lato, un’opera a pastello del 1904-1905 dove l’artista appare negli abiti piuttosto convenzionali del giovane avvocato (nel 1906 si laurea in Giurisprudenza senza mai praticare la professione), dall’altro, una tela del 1959-1960 con Casorati settantaseienne che non ha più bisogno di celebrarsi, ma diventa parte di un contesto dove al centro della rappresentazione sono collocati gli elementi dell’atelier tra cui tavolozza, strumenti di misurazione, manichino e fogli spaiati. Proprio l’atelier è il sipario magico che accoglie figure e oggetti in base alla prospettiva evidenziata dalla rassegna. Luogo mentale ancora prima che fisico, lo studio dell’artista rappresenta l’architrave della sua pittura in una progressiva teatralizzazione. È quello spazio scenico che, come afferma Luigi Carluccio, «l’arte di Casorati trasforma in contenitore di una certa atmosfera di magia, anzi di incantamento, di un colmo di silenzio quasi ipnotico di una misura di distacco che è ineffabile e tuttavia premente». Lo conferma il Ritratto di Maria Anna De Lisi o Anna Maria De Lisi, capolavoro del 1918 caratterizzato dalla struttura architettonica dell’atelier, deformata e incorruttibile, con le alte colonne nere che danno l’impressione di serrare la figura in una gabbia dove tutto appare congelato. Le tele bianche sono le quinte mobili di un teatro immaginario; esse attendono di essere dipinte o nascondono i loro contenuti, come accade per quella sistemata di fronte alla figura che funge, come le altre disposte nello spazio, da meta-opera. Non c’è nulla di realistico in una costruzione puramente intellettuale dove la stessa figura ritratta, pur avendo nome e cognome, appare un’assoluta invenzione, così come lo sarà nel 1922 Silvana Cenni.
Maria Anna De Lisi è circondata da basi vuote, cubi di raffinato design e un’improbabile brocca di color rame del tutto straniante rispetto all’ambiente asettico. Si crea una sensazione di progressivo disagio che passa anche attraverso Ada, la scultura dagli occhi cavi collocata su un alto piedistallo in riferimento all’opera realizzata da Casorati nel 1914, anch’essa in mostra proveniente dalla GAM - Galleria civica di arte moderna e contemporanea di Torino.