Una delle iconografie più praticate dagli artisti in Occidente e nel Vicino Oriente, sin dai primi secoli dell’era cristiana, è quella della Madonna col Bambino. Tra le diverse classificazioni storicamente determinate del “topos”, sembra utile segnalare l’esistenza di un tema specifico, sinora del tutto ignorato dagli studiosi, il quale, per i legami con una particolare sfera di committenza e devozione e per l’enorme diffusione esperita in ambito italiano ed europeo, si palesa di notevole rilevanza. Si tratta di tutte quelle opere d’arte figurative, tra pittura, scultura, intaglio, tarsia, incisione, disegno, oreficeria ecc., dove la Madonna è rappresentata nell’atto di tenere in mano, accarezzare o segnalare in qualunque modo uno o entrambi i piedini di Cristo infante. Facile accorgersi che i lavori siffatti sono una quantità sterminata: un tipo iconografico frequentato assiduamente da quasi tutti gli artisti che, nel corso di un millennio all’incirca, si sono confrontati col tema della Madonna col Bambino.
Così, su due piedi, non si saprebbe da che parte iniziare a illustrare gli innumeri capolavori che propongono questa iconografia. Da Coppo di Marcovaldo, attraverso Cimabue, Giotto, Duccio e Simone Martini; e poi Masaccio, Donatello, Piero, Verrocchio, Leonardo, Ghirlandaio, Botticelli; Perugino, Raffaello, Correggio, Parmigianino; e ancora i veneti: da Mantegna, Bellini, Cima, Giorgione, i due Palma, Veronese, Tintoretto e Bassano giù fino a Tiepolo, per limitarsi a citare solo i grandi. Sino alla fine del Cinquecento tutti se ne occupano più volte. E, pur con minore assiduità, dopo il Concilio di Trento, nel corso del Seicento insistono Guercino, Strozzi e molti altri. Il “topos” persiste ovunque nel Settecento con Traversi, Gandolfi e Batoni, per esempio, fino a Canova. Qualche stucchevole operetta devozionale di produzione contemporanea si vende ancor oggi in rete.
