LA XEROGRAFIA
COME PERFORMANCE

La Xerox Art è nata nei primi anni Sessanta del Novecento ed è stata praticata da molti artisti. Ha alimentato correnti decisamente eterogenee, dalle avanguardie come Fluxus, il minimalismo, l’Arte concettuale e la Mail Art, oltre a una varietà di controculture e movimenti femministi radicali, dalla stampa alternativa delle fanzine fino all’editoria punk, in una promiscua pluralità di pratiche artistiche alimentate dalla fotocopiatrice.

Quel che è certo è che, non appena le Xerox 914 sono approdate negli uffici dei primi anni Sessanta, molti, non necessariamente artisti, hanno iniziato a giocare con questa nuova tecnologia. Queste macchine sono state sviluppate da Chester Carlson e John Dessauer come copiatrici meccaniche, ma non venivano usate solo a quello scopo. I creatori di contenuti le avevano accolte come generatori di testo e di immagini. Per alcuni, come per esempio Marshall McLuhan, le fotocopiatrici erano foriere di un futuro “open-source”, i cui protagonisti sarebbero stati i cittadinieditori. Per altri, come gli artisti che hanno contribuito alla mostra statunitense del 1979 alla Eastman House – uno dei musei di fotografia più vecchi al mondo – intitolata Electroworks, le fotocopiatrici erano pennelli e tavolozze elettrostatiche: strumenti utili a rendere più democratica la pratica artistica e a smantellare l’edificio di un’arte elitaria. Tra questi c’era anche Bruno Munari.


Xerografia originale (1966).