OGGETTI A FUNZIONE
ESTETICA

Munari per le sue opere prodotte industrialmente e in serie ha utilizzato una definizione sintetica basata su un presupposto teorico: «oggetti a funzione estetica».

È una definizione che si adatta perfettamente a lavori ascrivibili al confine tra arte e design. Mentre gli oggetti di design incorporano una precisa funzione, questi oggetti “ibridi”, nati all’incrocio di diverse discipline, per l’artista ne hanno una essenzialmente estetica. Munari, in molti suoi scritti, associa all’estetica di qualità una potenzialità culturale formativa, rigenerativa per l’individuo stesso.

Con questi oggetti a funzione estetica Munari intende rivolgersi a un pubblico ampio, andando a definire chiaramente la sua posizione teorica basata su una visione inclusiva, democratica e non elitaria dell’arte. La prima produzione in serie in venti esemplari è una Macchina inutile del 1956. Nel 1959 partecipa alla famosa edizione di multipli MAT (“Multiplication d’Art Transformable”) curata a Parigi dall’artista Daniel Spoerri, assieme ad Agam, Albers, Duchamp, Mack, Man Ray, Soto, Tinguely e molti altri artisti, con l’opera Struttura continua.

Struttura continua è composta da un insieme di strisce di alluminio anodizzato piegate al centro in modo da formare un angolo retto. Ogni elemento viene poi fessurato lateralmente. Questi tagli permettono di combinare i moduli a incastro tra di loro. Le forme che si ottengono sono sempre diverse, poiché la soggettività con la quale ciascun fruitore può creare delle composizioni comporta una variabilità non deterministica nella morfologia finale della struttura. Munari parla di «natura inventata», perché le composizioni si aggregano per combinazioni, nello stesso modo in cui si sviluppano e crescono in natura certe strutture, influenzate, nella loro evoluzione, da molteplici condizionamenti ambientali. La struttura è componibile all’infinito e può svilupparsi nello spazio teoricamente senza fine. Il risultato, sostiene l’autore, è «qualcosa che sta tra il mondo minerale e la scultura».


Declinazione grafica del nome Campari (1964), “installation view” (2023); Verona, ArtHouse Eataly.