IL PASSATO
FUTURISTA

Bruno Munari nasce a Milano il 24 ottobre 1907. («All’improvviso, senza che alcuno mi avesse avvertito, mi trovai completamente nudo in piena città di Milano»).

I genitori, Pia Cavicchioni ed Enrico Munari, si spostano all’inizio del secolo dal Veneto a Milano. Dopo alcuni anni nella capitale lombarda, nel 1913, la famiglia decide di ritornare al paese d’origine – Badia Polesine, una piccola città sulle rive dell’Adige – attirati dalla possibile indipendenza economica grazie alla gestione di un albergo e di un ristorante. L’artista ricorda questo periodo giovanile e la vita di campagna in riva al fiume come una esperienza formativa basata sulla scoperta della natura attraverso il gioco e la costruzione di giocattoli, usando canne di bambù o altri materiali poveri. La vita d’albergo risulta invece dura perché è una vita senza riposo: «Mia madre aveva inventato una definizione, diceva che bisognava dormire in fretta».

Munari nel 1926 ritorna a Milano, la città dove incontrerà i futuristi, dove rimarrà per l’intera sua lunga e fruttuosa attività artistica. In una libreria antiquaria conosce il poeta futurista Michele Lescovich, in arte Escodamè, che lo introduce a Marinetti. Il suo approccio sperimentale lo pone presto in polemica con le realizzazioni scultoree di Boccioni il cui errore, per Munari, consiste nel cercare di dar vita a una forma fluida attraverso la scultura che è ferma e immobile. Si trova, invece, in sintonia con le intuizioni teoriche di Balla e Depero che, nel manifesto Ricostruzione futurista dell’universo del 1915, prospettano forme mobili in rotazione, grazie a scomposizioni di volumi che compaiono e scompaiono.

Un critico attento come Guido Ballo ha osservato la caratteristica fondante di tutti i lavori di Munari: nulla sta mai fermo, tutto si muove, allo scopo di creare immagini che si formano e si disfano, proprio come avviene, talvolta lentissimamente, in natura.

La convinta adesione giovanile al movimento futurista italiano proietta Munari all’interno di quella grande rivoluzione del linguaggio che esplode in Europa grazie all’instancabile attività promotrice di Marinetti.

Tutte le avanguardie del Novecento hanno verso il futurismo, definito da Munari «un potentissimo distributore gratuito e disinteressato di idee», un grande debito culturale. I circoli futuristi milanesi hanno consentito il formarsi di una scena artistica prolifica, in cui un giovane poteva maturare in fretta a stretto contatto con tutte le avanguardie europee; tuttavia la partecipazione del giovane Munari al gruppo futurista – pur sostenuta da Marinetti, che lo considera il più promettente tra gli artisti operanti a Milano alla fine degli anni Venti – ha posizioni critiche soprattutto dal punto di vista teorico.

Munari non celebra la bellezza della macchina per la sua forza, velocità o potenza, ma la utilizza come un dispositivo leggero, essenziale, spettacolare, ironico.

Munari esordisce nel 1930 con la creazione di una Macchina aerea – un’opera sospesa costruita con sfere colorate e bacchette bianche – da cui derivano, in seguito, le Macchine inutili – composte da vari elementi appesi, tra di loro collegati da un filo sottile e liberi di muoversi nello spazio –, opere con le quali egli porta l’astrattismo verso una dimensione dinamica che varia nel tempo.

Munari è un creatore di forme in continua trasformazione. Nei suoi lavori vi sono forme dinamiche basate sul movimento casuale degli elementi (Macchine inutili, dal 1932, Macchine aritmiche, dal 1951) e ci sono opere in cui la dinamicità è data dall’intervento attivo dello spettatore (Strutture continue, 1959) o dall’azione performativa dell’artista (Xerografie originali, dal 1963), in altri casi dall’utilizzo artistico di materiali tecnologici (Proiezioni polarizzate, dal 1953).


Macchina aerea (1930).