«È il mio mandala», avverte Luigi Serafini, aprendo la porta di casa all’ultimo piano di un palazzo alle spalle del Pantheon, a Roma. L’abitazione è un’opera d’arte unica, qualcosa a metà tra un museo e un grande balocco, un labirinto della mente costruito con talento e ironia, pazienza e immaginazione sfrenata, da un artista tra i più colti e visionari, da un alchimista che trasmuta la realtà attraverso la pittura e la scultura, il design e la ceramica, la fotografia e l’architettura, la scenografia e l’invenzione di scritture antiche: «Ci lavoro da oltre trent’anni, e come nei mandala fatti dai monaci con la sabbia, che si cancellano e si riformano continuamente, non è mai finita. Ma può anche scomparire da un giorno all’altro. Non ha una finalità pratica, è un esercizio spirituale».
Adesso rischia di scomparire davvero. La proprietà del palazzo appartiene all’ordine dei Cavalieri di Malta, che hanno già sfrattato gli inquilini degli altri appartamenti. Serafini resiste, ma non si sa per quanto tempo. Prima che lo sfratto diventi esecutivo, le varie istituzioni cercano di salvare questo “sancta sanctorum” della fantasia per renderlo visitabile, come è già avvenuto per Casa Balla. Tra i primi a muoversi, Vittorio Sgarbi, che riconobbe il talento di Serafini fin dall’esordio, e che oggi, nelle vesti di sottosegretario alla Cultura, cerca di proteggere la casa-opera trasferendola in uno spazio affidato al Ministero.
