Outsiders

poeta
per caso

Alfredo Accatino

Un viaggio alternativo nell’arte del Novecento, alla scoperta di grandi artisti, opere e storie spesso dimenticate: Paolo Ventura

Esiste a Milano un’ansa nascosta, una piazzetta metafisica. Una chiesa romanica fa da quinta, a terra ciottoli di fiume creano il palcoscenico, un palazzetto d’epoca chiude la scena, silenzio. È lì che lavora Paolo Ventura, a dimostrazione che sono le case che scelgono te, e non il contrario. E su quello sfondo potrebbero muoversi le sue creazioni – marmittoni, passanti in lobbia, acrobati, donne e bambini – e basta fare un chilometro per ritrovare quei palazzoni-dormitorio che popolano le sue opere più recenti.

Quello che non avevo capito è che ogni opera è un unicum, uno scatto stampato e poi ridipinto a mano con pazienza artigianale, come una scenografia teatrale. E che tutti gli uomini, che appaiono come sospesi in un immaginifico inizio secolo, che siano reduci, impiegati o domatori di circo, li interpreta lui stesso. Così la donna è sua moglie e il bambino è suo figlio, che cresce scatto dopo scatto. Tranne all’inizio, quando ricercando il filo del discorso realizzava figurine in Das e le fotografava su fondali di cartone dipinto: «All’inizio i volti non venivano bene e cercavo di nasconderli», confessa con una autoironia abbastanza rara.

È questo il caso di uno dei primi scatti di War Stories, realizzato intorno al 2004, ricreando i racconti legati alla guerra che, instancabilmente, gli ripeteva la nonna friulana.

Storie semplici come quella che vedete: un soldato sta baciando – forse per l’ultima volta – la “morosa”, un altro si allontana portando a mano la bicicletta, gira la testa, per pudore, o perché chiuso nei suoi pensieri: «Cosa mi aspetta?».


The Magician da Short Stories (2013).