La pagina nera
PER LA BELLA ROSINA
CESSERÀ LA ROVINA?
Fabio Isman
Siamo a Manfedonia, provincia di Foggia, nel parco del Gargano; dal verde, spunta improvvisamente un elegante edificio a tre piani. Progettato e fatto costruire a partire dal 1928 dal cavalier Vincenzo D’Onofrio, proprietario di un pastificio, come pegno d’amore per la moglie, Rosa Longo, che gli darà otto figli. Ma innalzarlo, costa fatica: D’Onofrio riesce a farlo completare nel 1940. La sua Rosina non c’è più da cinque anni: muore che ne aveva quarantacinque, dopo aver fatto tanto del bene. Fino a un decennio fa, nel salone restava una targa ovale che strappa le lacrime: «Per te, o mia Rosina, questa villa che tutta la mia vita ormai rinserra, io volli progettare e costruire.
Disagi, avversità, violenze infami non valsero a fermare il mio cammino. Più forte fu la fede, più forte ancor l’amore: vinsi! E la tua reggia alfin dal sol baciata, da mille e mille piante profumata, brillò su questa arida pietraia. Ma tu, la mia fatica compiuta non vedesti! Dal ciel mi sorridesti, e il tuo sorriso fu tutto il premio ch’io aveva sognato». La lapide era del 1940; e forse mai all’ingresso di una casa si è letta una simile dedica.
«Ogni anno», racconta Maria Teresa Valente, giornalista e anche consigliera comunale, «Rosa regalava un corredo completo a un’orfanella in procinto di sposarsi; e Vincenzo, che aveva costituito un’orchestra di quindici, poi di sessanta musicisti, organizzava un concerto». Ha anche scritto musica, perfino un’opera, andata perduta. Il suo mulino era tra i più rinomati della zona, ma un giorno va misteriosamente a fuoco.
D’Onofrio non si arrende: continua a lavorare fino al 1965, quando, anche lui, muore.
Il suo edificio è assolutamente singolare, ed eclettico. È articolato in tre volumi: i laterali per lavorare e stivare i prodotti della terra; quello centrale era la residenza. In mattoni rossi, finestre “all’orientale”; cornici e lesene; sulla sommità, la dicitura «Villa Rosa». Davanti alla facciata, un piazzale, e, seminterrate, le stalle. Neogotico il retro: archi a sesto acuto e merlature.
All’interno, soffitti cassettonati in cemento, con dei festoni; un ampio “foyer” e una scala per i piani superiori. Davanti il panorama è sul golfo di Manfredonia; dietro sul promontorio del Gargano. Ci sono altre costruzioni vicine: in origine, D’Onofrio aveva dotato l’edificio di pollaio, casa del guardiano, porcile e colombaia. È stato vincolato appena nel 2023.
Ma, intanto, sono successe infinite cose. Gli eredi del proprietario, soltanto due anni dopo la scomparsa del padre, non ce la fanno più a mantenere la villa e i suoi annessi, e vendono.
Acquistano il tutto l’arcivescovo di Manfredonia Andrea Cesarano, e la sorella, che nel 1974 lo donano all’Opera pia Anna Rizzi (divenuta dal 2010 ASP - Azienda pubblica di servizi alla persona SMAR), con il vincolo di farne una casa di riposo.
Mentre il terreno passa al seminario e alle suore. Da quel momento, è la rovina. L’edificio, incustodito, è più volte vandalizzato. All’interno non resta più nulla, se non le opere dei “writers” alle pareti. Sfondati i soffitti; distrutti gli infissi; i muri sbrecciati; le scale crollate; il verde incolto e ormai selvatico. Qualcuno, chissà quando, ha perfino divelto e rubato la targa dedicatoria dell’edificio.

Le condizioni assai critiche della facciata in mattoni rossi con finestre all’orientale e la vegetazione incolta.