Sono passati cent’anni da quando si inaugurò, l’8 settembre 1923, la mostra Il ritratto veneziano dell’Ottocento voluta da Nino Barbantini, primo direttore di Ca’ Pesaro - Galleria internazionale d’arte moderna. Oggi, nelle sale al secondo piano di quello stesso palazzo di Venezia che si affaccia sul Canal Grande, è allestita un’esposizione che porta il medesimo titolo e che raduna quante più opere possibili del precedente progetto. A portare a compimento l’attuale impresa dopo due anni di ricerche condotte tra collezioni pubbliche e private in tutto il Triveneto – con non poche difficoltà, visto che di molti dipinti si erano perse le tracce – sono stati la responsabile del museo Elisabetta Barisoni e Roberto De Feo, ricercatore all’Università di Udine.
Ma che senso ha riproporre, a un secolo di distanza, la mostra concepita da Barbantini?
L’idea può sembrare strampalata, tuttavia occorre tener conto della portata che ebbe quella rassegna: l’indagine sulla ritrattistica veneziana segnò infatti uno spartiacque nella considerazione critica dei linguaggi artistici del XIX secolo nei territori della Serenissima. Fu lo stesso Barbantini a spiegare il movente dell’iniziativa: l’arte locale dell’Ottocento era allora oscura e sconosciuta perché i veneziani, scriveva il direttore, erano «apatici» e non la sostenevano, a differenza dei milanesi e dei fiorentini che già da alcuni decenni avevano riscoperto il loro Ottocento. «La pittura veneziana del secolo XIX, pure tra circostanze talora sfavorevoli, continua non indegnamente la pittura veneziana dei secoli d’oro», continuava Barbantini(1), che rintracciava così le radici dei linguaggi moderni nell’Ottocento e prendeva una netta posizione nel dibattito dell’epoca, ricucendo lo strappo con la felice stagione settecentesca.
Nel 1923 le duecentoquarantuno opere, create da circa cinquanta artisti, vennero allestite in ambienti riccamente arredati con oggetti decorativi e mobili, così da evocare le dimore borghesi e nobiliari per cui erano state realizzate. Il successo fu notevole, e lo testimoniano gli ottomila visitatori paganti che apprezzarono in particolare i lavori di Michelangelo Grigoletti, autentica rivelazione della mostra, mentre nessuno spazio venne concesso all’illustre Canova. A partire da quell’iniziativa, Ca’ Pesaro divenne una vera e propria istituzione museale e la collezione si arricchì di importanti donazioni e acquisizioni.
